La traccia comune è quella di una situazione che esplode. A un certo punto, in un momento di pace o di apparente tranquillità, scatta la miccia. Non si può fare niente, il destino prende il controllo delle vite, la nevrosi finisce con l'essere ininfluente, non ci sono ansiolitici o sedativi che funzionino. È un meccanismo tragico che entra in azione, ma senza un dio crudele, senza un proposito, un vero progetto: un fato che non sa dove l'uomo andrà a sbattere, tranne per il fatto che finirà tutto male, tanto male. Storie pazzesche di Damián Szifrón è, da questo punto di vista, quasi un film a tesi, offre diverse prove del suo assunto iniziale e schiaccia lo spettatore con la sua crudeltà.Eccessivo, dinamitardo, Storie pazzesche di Damián Szifrón inchioda lo spettatore a un dubbio umorismo, a citazioni letterarie e cinematografiche a getto continuo (con, mi sembra, una certa ricorrenza di Hitchcock) e a una valanga di malessere. L'empatia nel parossismo dei sentimenti e della sfortuna è garantita dall'estremo realismo delle premesse, da un linguaggio quotidiano di grandissima forza mimetica e da spunti e sentimenti davvero elementari (frustrazione, angoscia, viltà, vittimismo, gelosia). Conclude il film un episodio - quello del banchetto di matrimonio - certo meno splatter di altri, ma non meno corrosivo e psychokiller, anzi forse ancora più orgiastico quanto a livore e sarcasmo.
Storie pazzesche di Damián Szifrón non è quel che definirei un'opera "catartica", il malessere si appiccica ai panni degli spettatori e li lascia ancora più spaesati. Eppure - interpretato benissimo da un cast di ottimi attori che comprende Liliana Ackerman, Luis Manuel Altamirano García, Alejandro Angelini e Dario Grandinetti - è un film che ha molto da dire e, ahinoi, parla di una certa modernità con chiarezza lancinante.






