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Storie. “Un pezzo di Germania a casa”

Creato il 30 agosto 2012 da Fabio1983
Partire. Andare a Berlino. Un po’ per scelta, un po’ perché capita l’occasione da cogliere all’istante. La storia di Roberta non si discosta troppo da quella di tanti altri giovani italiani, anche se non tutti sono i “cervelli in fuga” di cui si legge sui giornali. “Mi recai a Berlino per diversi motivi. Era il 2007. Dopo il diploma – ricorda Roberta – ottenni una borsa di studio nell’ambito del Progetto Leonardo. Sarei dovuta andare in Austria, poi a un mese dalla partenza un disguido mi impedisce di preparare le valigie. Ma io ero comunque intenzionata a partire e uno zio mi dice che un suo amico a Berlino ha possibilità di offrirmi un lavoro”. Così Roberta, animo ribelle (non lo nega mentre racconta la sua storia a T-Mag), non ci pensa troppo: il 23 gennaio del 2007 prende il volo per la capitale tedesca. Alle sue spalle Orvinio, un piccolo Comune in provincia di Rieti. “In quel momento mi andava stretto”, confida. Con un diploma di scuola alberghiera (Tecnico dei servizi turistici), Roberta si ritrova a fare la commis di sala in un mega ristorante berlinese. “Ma ero più una sguattera, in realtà”. I primi mesi sono impossibili. Quando si va in Germania la prima difficoltà è farsi capire perché la lingua o la conosci o sono guai. Ed è lo stesso motivo per cui trovare amici tedeschi in poco tempo è impresa ardua. “All’inizio pensavo di non essere adeguata. I colleghi erano piuttosto scortesi con me e dovevo accontentarmi di una stanza in affitto, sebbene in pieno centro. Poi ho capito che dovevo cavarmela da sola. Ho iniziato a studiare tedesco, ho fatto tre corsi. E piano piano le cose sono andate migliorando”. Alla fine, in Germania, Roberta ci resterà cinque anni tra alti e bassi. “Ho capito cosa significa essere una cittadina straniera. La tua educazione, la tua formazione civica è pari, a volte, a quella di un bambino tedesco. Ti inizi a porre delle domande sul tuo Paese e ti accorgi che l’Italia non è male, ma che ha delle carenze evidenti. In Italia vivremmo tutti meglio se andassimo verso un’unica direzione, proprio come fanno in Germania”. Sia chiaro però che la Germania non è l’Eden. “È un posto che odi fintanto che non comprendi com’è che va la vita lì, finché non ti senti integrata negli schemi rigidi, tipici del loro modo di essere. C’è un’eccessiva burocrazia, insomma”. E poi, diciamola tutta: non è che i tedeschi abbiano tutta questa stima di noi. “Nel periodo del governo Berlusconi e del bunga bunga eravamo presi in giro abbastanza. Nei confronti degli italiani, inoltre, c’è un pregiudizio di fondo. Ci reputano ‘mammoni’, troppo legati alla famiglia. Una volta ad un colloquio di lavoro mi chiesero di tutto – perché avevo lasciato l’Italia, se mi mancasse casa –, senza interrogarmi sulle mie competenze professionali e poco importava che io sapessi parlare quattro lingue”.
(continua su T-Mag)

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