Storytelling – Dai tempi delle mele all’Aids: un’educazione sentimentale

Creato il 04 gennaio 2014 da Abattoir

di Bea Ary

Dopo Topolino, la nutella e le unghie, L. aveva cominciato a divorare pile su pile di romanzetti rosa dalle copertine ultra camp: ne aveva una collezione da far invidia a una vera Sissy1. E poi giù a scrivere fiumi di poesie e storie strappalacrime nel suo diario. Più che un diario sembrava un fotoromanzo: a furia di attaccarci foto di attori o cantanti si era talmente gonfiato di Vinavil che le pagine si erano tutte incollate tra loro. Un groviglio di lacrime, colla e allucinazioni perverse. Che poi altro non erano che versioni en travesti della Donna Angelicata. Quel delirio di assurde finzioni serviva solo a sublimare cotte infinite per questa o quella compagna più grande. Altro che principi azzurri!  In lei ormai da tempo covava sorda un’inquietante anomalia e le pareva di essere l’unica al mondo a percepire quella dissonanza. Poi le regalarono Piccole donne e ne fu subito rapita. In breve, il suo modello di riferimento divenne Jo March. Amava la sua indipendenza e la sua tenacia. Fu in quel momento che iniziò a pensare che la vita avrebbe potuto avere un senso se solo avesse capito come decostruire la sintassi di cui era prigioniera.

Da allora, di acqua sotto i ponti ne era passata a fiumi e la sua incertezza si era trasformata in un palo della morte a cui appendere il cappio di un’identità sessuale ondivaga. E più si dimenava per liberarsi dal guinzaglio invisibile che la imbrigliava, più si sentiva debole, programmata per l’infelicità. Così, dopo un periodo di prove tecniche di petting consumate senza troppa convinzione, si diede all’onanismo. Ormai anche le femministe non scendevano più in piazza e il Papa rivoluzionario l’avevano fatto secco. E nessuno parlava più di rivoluzione.

Erano arrivati gli anni Ottanta e tutti pensavano a divertirsi, in una sorta di ipnosi collettiva scacciapensieri. In TV spopolavano rassicuranti programmi nazional-popolari, che però cominciavano a degenerare verso una forma virale di trash. Nei tiggì si parlava molto di riflusso. Fu colta in una risacca di depressione e teledipendenza solitaria. In TV nascevano i talk show e ormai era un pullulare di chiacchiere inutili e canzoni facili. Ricordava notti insonni a caccia di rimasugli in frigo mentre sullo sfondo Albano e Romina celebravano il loro ennesimo coito pop. Senza rendersene conto, aveva lasciato il suo destino marcire nella risacca melmosa di una vita senza ideali, in un tempo fasullo e senza prospettive.

Un giorno sentì sua nonna che borbottava – toh, guarda c’è quello che ha fatto Renzo nei Promessi Sposi, pensavo fosse morto. In effetti, era uno con la faccia da sfigato che più adatto per quel ruolo non avrebbe potuto essere. Ora si era messo a fare anche lui i talk show come Costanzo. Ebbe un sussulto quando si accorse che Renzo, da vero sprovveduto, stava armeggiando con una bomba a orologeria. Il placido presentatore, infatti, stava intervistando con nonchalance una donna che si dichiarava la segretaria di una organizzazione che lottava per i diritti gay. Una biondina magra con la faccia sofferente e gli occhi tremendamente malinconici. Denunciava l’assenza di una lingua che prevedesse le lesbiche, figuriamoci il resto.

Si sentì a disagio e si sforzò di immaginare cosa stesse pensando sua nonna. Ma in realtà la bomba era esplosa dentro di lei, altro che. Ora la parola lesbica aveva una faccia. E non era certa le piacesse. Ma quell’impatto fu sufficiente per sentire il desiderio di andare oltre.

Dopo essersi torturata a lungo, si decise a frequentare qualche associazione gay. Camicioni larghi a coprire la ciccia e senso di inadeguatezza. Si portava ancora dietro tonnellate di romanticume rosa. Ogni volta che incrociava gli sguardi duri di qualche donna vestita da boscaiola o camionara2, percepiva un disprezzo e una cafoneria che neanche un uomo avrebbe saputo interpretare così bene. Ma forse era solo il suo proiettare paure e timori verso un mondo che aveva fino ad allora solo intuito.

Si sforzò di passare per una dyke integrata, una come le altre che incrociava nei dibattiti e nelle discoteche. Erano ancora molto poche le omosessuali che uscivano allo scoperto. Si parla di un’epoca antidiluviana. Lei a letto con una donna non c’era ancora andata; ne parlava con lo psicologo al massimo. Sperimentava una sorta di scomoda disappartenenza ovunque andasse; ne sentiva il calore sulla fronte come una specie di lettera scarlatta, un’onta, un’identità che avrebbe voluto volentieri scordare da qualche parte.

Diventò sempre più attiva nei circoli e ricordava la passione con cui quell’attivista ascoltata in tv esortava tutte le lesbiche a dichiararsi ed esigere un nome e una vita normale. Un giorno quella donna venne nella sua città per un dibattito. Si offrì di ospitarla a casa sua. Fu la prima volta che condivise la notte con una potenziale amante. Fecero solo una lunga chiacchierata. Le parve di varcare una soglia proibita.

Nel frattempo, si era fatta un discreto numero di amici gay, ma continuava anche a frequentare le vecchie compagnie etero. Il sesso per lei rimaneva una terra promiscua e nebbiosa. Mentre con gli uomini era sciolta e disinibita, delle donne aveva un terrore paralizzante che le impediva anche solo di ricambiare uno sguardo. I suoi innamoramenti annegavano tutti in strazianti lagune tristi, tipo Morte a Venezia.

Fu proprio quando stava decidendosi a uscire dal suo bozzolo che esplose la bomba dell’Aids. Nei circoli gay che frequentava si sussurrava di questo o quello e lei, sbigottita, si sentiva come Lucia tra i monatti. La dura china che aveva risalito contro la risacca dell’eteronormatività (ormai era un’esperta di teoriche lesbiche) le aveva dato una certa consapevolezza del suo desiderio. Ma questo desiderio ora si scontrava con un mostro invisibile. Tutte le paure interiorizzate per anni ora sembravano materializzarsi in una punizione divina. No, indietro non ci voleva tornare. Don Rodrigo poteva pure pentirsi delle sue scopate dopo aver contaminato i suoi bravi, ma lei ora sarebbe stata davvero libera e cercò a più riprese di dimostrarselo.

Un bel giorno venne folgorata da una persona con un sorriso e uno sguardo davvero luminosi. Si chiamava Rosaria. Era il primo dicembre 1991, la vide baciare un uomo con la barba. Fu un’immagine davvero forte. Ci voleva fegato. Lei, sieropositiva e lesbica, lui immunologo. Entrambi impegnati nella campagna contro l’Aids. Fu travolta da una cascata di emozioni. Ancora una volta una lesbica in Tv le mandava messaggi. Doveva esserci un nesso.

A Lesbos, quell’estate del 1995, erano talmente nude che anche le cordicelle dei tampax sembravano di troppo. Al chioschetto sulla spiaggia di Eressos, era una babele di donne. Dalla strada, alcune famigliole inveivano contro i loro baci. Prese Rosaria sotto braccio la condusse verso la vegetazione riarsa dietro una duna.

Era giunto il momento che tanto aspettava. La baciò intensamente. Il sole era allo Zenit e i loro corpi rotolavano luccicanti come ciottoli nella risacca. Il finale da romanzetto rosa ora un senso ce l’aveva.

PS: Ogni riferimento a fatti e/o persone è da ritenersi del tutto voluto, ma assolutamente inverosimile.



1 Sissy: (da “sister”): uomo gay molto effeminato.

2 Camionara: genere di lesbica molto maschile, altrimenti detta butch. Di solito si accompagna a lesbiche molto femminili e passive, le femmes.


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