di Marco Giglio
Prima che la Dottoressa Peluche si mettesse a riparare ogni giocattolo suo e dei suoi amici, togliendomi, diciamolo, il lavoro, c’ero solo io a fare questo mestiere.
Mi pagano per riparare, ma sarebbe meglio dire operare, le bambole di bambine romantiche aggrappate ancora alle gonne delle mamme, alte poco più di un metro con le calzamaglie rosa e le ballerine color confetto ai piedi.
Dopo Dio e le mamme vengo io, grazie alle mie mani, alla pazienza ed alla ricerca di pezzi di ricambio riesco a far rinascere bambole che altrimenti sarebbero rimaste con gli occhi vitrei, a penzoloni, nei cassonetti, tra una confezione avanzata di bastoncini Findus e le scocce di arance e tenerumi.
Quando i bambini, nella mia bottega, portano le loro “creature”, i loro volti sono pieni di speranza, sono loro a darmi la forza e la voglia di continuare un mestiere che apparteneva a mio nonno Giuseppe.
Sono l’unico a dare ancora un po’ di anima e di vita a dei balocchi ormai superati dalle App sui Tablet, che per carità, tutto sono tranne che giochi, ma è probabile che lo dica solo per via delle mie mani, vecchie e rugose, che si ostinano a continuare questa opera di speranza.
Dentro queste quattro mura del Capo, diciamolo, anche un po’ tetre, ci sono appese bambole di tutti i tipi, molte sono spaventosamente belle, altre fanno davvero paura.
Io amo quelle di pezza, perché mi ricordano la miseria ed i giochi dei miei genitori, dove con poco, anzi con niente, si poteva rimanere bambini almeno fino ai dieci anni.
Ogni tanto i bambini entrando si mettono a piangere; in effetti, molte di queste piccole compagnie sono senza occhi, senza un braccio o senza una gamba, e l’effetto è quello di un macello con le carni appese in attesa di essere porzionate.
Molto spesso devo sacrificare altre piccole pupattole, ed è una specie di donazione d’organi. Chi le ha lasciate e non è mai tornato a riprendersele sapeva già in cuor suo che sarebbero servite a qualcun altro, del resto, non è che tutti potessero permettersi, con la fame e le bombe, di riparare i giocattoli di una bambina.
I sorrisi di chi viene a riprendere le bambole sono grandi quanto il mondo intero, ed a volte sono più gratificanti anche delle 10 lire.
Ma adesso basta, mi fa troppo male stare seduto su queste scale, il centro scommesse dove prima c’era tutta la vita mia mi mette troppa tristezza, e poi è quasi l’alba, il momento in cui le ombre si fanno alte e volano via in cielo ed il sole caldo cerca, a fatica, di asciugare queste balate.
È il momento di tornare là dove continuerò , in eterno, a far sognare bambine di tutte le età, lì si sta veramente da Dio.