Ansimo e corro, corro e ansimo per stare al passo.
Sono incazzato, siamo incazzati neri, arraggiati si dice in Paliemmo.
Per la prima volta nella mia vita sto protestando. Ho cinquantatré anni, ne dimostro sessanta e protesto coi miei colleghi, sputiamo in terra, lanciamo munnizza sui Quattro Canti, scriviamo sulle statue di piazza Vergogna, perché la vera vergogna pi ‘mmia è cca.
“Vergogna! Chi vriognaaa! Porci, PORCI!”
Ci sforziamo di abbanniare in italiano e tutti in coro; il mio vicino di protesta ha tre denti che gli rimangono in bilico in bocca, ma che non gli tengono dentro la saliva e così a volte mentre corre e ansima e ansima e corre pure lui, un filino di bavetta gli inumidisce la guancia scura di perfetto siculo. Per fortuna la barba ispida e nera gli trattiene tutto di sopra e a me mi bagna solo di sgricio.
…Oh, cugghiune, concentrati! L’importante non è che a questo gli fete la faccia di saliva, è che qua dobbiamo protestare, dobbiamo sdivacare in terra tutte ‘ste finte panchine fatte chi ligna pittati, dobbiamo urlare!
“Lesa maestà! Lesa maestà!!!” Noi! Cristiani onesti, lavoratori integerrimi, iccati in mezzo a una strada! “PORCI! POLITICHI PORCI!”: il bavetta lo afferma minaccioso; “…’nca io perché mi c’iero messo…? Mi nn’agghiri a rubare, arriere…? Picchì io a statu in galera!”.
Un altro vicino di protesta si gira lentissimo, ha la faccia di un panormosauro bastonato con la maglietta rosa-aderente su 97 chili di panza, lui non corre e non ansima: “prima ero in mezzo la strada io, che ero un tossicodipendente. Perché non c’è niente a Palermo, non si può vivere. E allora, invece di fare cose male, meglio fare il posteggiatore che altre cose cattive”.
Ma Bavetta se ne fotte, gli parla addosso, educatissimo, onestissimo lui, un bijoux! Gli vomita addosso parole e bava: “picchì ccà a mare semu, picchì a sinnò cam’affari arriere sciopero d’uocu. Sèèè sicuramente. Asinnò io comu campo? Ora avanza tre misi u patruni i casa… Ddù picciotto aspietta e dice, ‘caro mio, comu finiu?’ Accussì io m’inn’egghiri ra casa mia. Ca a casa è bella, tutta misa a nuovo!”
Intanto un tizio al megafono che si sforza di parlare bene: “Il signor Ollando lo sa, chiudendo le strade, il DANNO che fa alle persone?!?”. Applausi scroscianti su via Maqueda, le fioriere spampinate, i fiori iccati in tierra, calpestati insieme all’asfalto. Una donna con la ricrescita di 8 centimetri s’allattarìa con l’amica, urla e sputacchia, lei di denti ne ha circa sei: “Agneruno ha famiglia da campare, bambini da campare, e non è giusto levarci il pane a quelli che hanno di bisogno!”. E l’altra, tette allaccarute senza reggiseno subito pronta a urlare dall’alto del suo smalto rosso-smangiato: “io cambierei A TUTTI questi pezzi grossi che sono a Roma. E darei il posto a chi ha bisogno, a CHI HA BISOGNO, no a chi non ha di bisogno! Perché il sazio al digiuno non l’ha creduto mai! Perché agneruno pensa per la SUA tasca, non per le povere bisognose che c’hanno di bisogno!” E subito la ricrescita rincara urlando: “finché che non si obbriga alle persone, non è giusto chiudere San Domenico! Perché era una strada da passaggio. E questo non va bene… per noi italiana!!!”
Un cartello in mezzo al bordello recita: “semu abusivi onesti!”; è vero, penso, io i facieva posteggiare sempre bene i clienti, il caffè non l’ho chiesto mai e c’era un rapporto benissimo, ansino a oggi.
Smetto di correre. Sono stanco.
Bavetta si agita sempre di più, suda e non si capisce dove finisce il sudore e inizia la saliva; in un impeto da mancata deglutizione scippa il megafono al collega e ci sputacchia dentro urlando: “Perché almeno prima c’era a mafia, almeno prima si lavorava. Adesso dove è più? Campa e fai campare, chiddi facievano. Ora invece campano solo i politichi, e hannu a campari sulu iddi. …Ca ora chisti… STI POLITICHI HANNU U BABBIU!!!”.
Su questa il megafono stride, inzuppato, sarà un corto circuito salivare, ma lui, coraggiosissimo, lo sfrutta fino alla fine lanciandolo sulla porta di palazzo delle Aquile. L’arnese gocciolante in volo inonda la folla di saliva benedetta sotto i 37 gradi a ottobre di Palermo. La gente inferocita, come inspirata da questa pioggia innaturale, insorge sotto le goccioline viscide: “Arrestate i negri!”, “Pedonalizzati u culu!”, “Ollando soooca!”.
La donna-ricrescita è inarrestabile, parla a macchinetta: “ma quale arte, ma quali Quattru Canti, ci su quattru statue nivure d’uoco!!! Ma cu è stu smog che rovina i cuose? Ci consumaru a tutti!!!! Chistu è! …Ollando! Fatti i cazzi tua ca campi cent’anni!!!!!!”.
Il panellaro storico di piazza Sant’Anna, sguardo autorevolissimo, ci mette pure lui la sua: “Arriva u signò Catania, ‘sta matina s’arruspigghiò… ‘Chiuemu tutt’i piazze!’ …Questo è modo di agire? Per conto mio, non è modo di agire…. ficiru una grande stronzata! Chista fu una cosa propria… Chiuieru Sant’Anna, chiuieru piazza Rivoluzione… Ma a che cosa è servito? Un c’è niente! Tu va’ talii ddà… Che cosa c’è? A piazza vacante! Almeno c’avissi stato qualche panchina…! Ficiru nnà grande STRON-ZA-TA!”
E giù posteggiatori e abusivi di tutti i tipi con la bava alla bocca a vandalizzare per vendetta piazza Sant’Anna.
…’Sta chiesa ave quattrocento anni, ddà sutta ci facevo posteggiare le macchine, là ci ho levato i mattoni dopo il terremoto io. “Prima di tutta, l’educazione! Presentarsi bello dritto, bello assistimato, ‘buongiorno e buonasera’!”, chistu ricieva me matri e chistu ci ricu a me figghiu. E io aiu cinquantatré anni, sugnu senza lavoro ma nascivu ccà, e un vuogghiu distruggere un cazzo.
Dall’altro lato di via Roma spunta un altro corteo, pare chi è la concorrenza, chisti un parrano, sono belli dritti e assistimati: “ricercatori universitari precari” si chiamano e dicono che la cultura è morta. Io unnu sacciu cu murìu, ma chisti mi paruno chiossai assistimati. Non le capisco ‘ste proteste, tutte diverse, tutte strane, chiddi ca rumpono tutte cose… Talé, minni vaiu a casa; a pranzo pane e lenticchie …e non mi bussa nessuno alla porta.
* ispirato a molte storie/persone vere, che ringrazio.