Storytelling – Sento irripetibili parole

Creato il 10 maggio 2015 da Abattoir

di Pigi Arisco

Poche chiacchiere. Se devo raccontarvi la storia della mia vita è inutile girarci intorno con metafore e mezzi termini, mettiamolo in chiaro fin da subito.
Il mio lavoro è sulla strada.
Ho passato tutta la vita sul ciglio della strada, ferma come un palo con i fari puntati sulle parti basse, a far scintillare il vestito di lamé e far brillare come un sole notturno il mio capo tutto giallo.
Lavoravo in una strada statale, chilometro 47, poco fuori un paesino abitato da campagnoli ed operai. Gente modesta, senza tanti soldi.
Quando ho cominciato la carriera le auto erano una novità, costavano parecchio e non se ne vedevano tante in giro, specialmente in una strada di provincia. La mia clientela era quindi composta da gente di paese. Uomini, li vedevi arrivare dalle tenebre con la falcata alta, a ginocchio piegato, tipica di chi è abituato a camminare nella terra umida e piena di sterpaglie. Infagottati nei giacconi scadenti, cappello ben calato sul viso nel ridicolo tentativo di non farsi riconoscere, ed il loro misero capitale in mano, pronti ad offrirlo per i miei servigi.
Facevano pena nella loro miseria, ma non è che io facessi una vita migliore. La pena, la carità, sono un lusso che non posso permettermi, quindi poche storie. Pagamento anticipato e quando scade il tempo, via! Fine! Non avevi finito? Vuoi un extra? Caccia i soldi o continui con la fantasia.
Il bello delle strade provinciali, in aperta campagna, è che non passa quasi mai nessuno ed io, che non avevo nessuna possibilità di portare i clienti in un posto caldo, offrivo me stessa lì, sul ciglio della strada, in quella parvenza di intimità che offre l’oscurità ed il silenzio della campagna.

Uomini! Che teneri con quello sguardo colpevole, a carezzare le curve, con le dita tremanti, incerte, dubbiose e al tempo stesso determinate a raggiungere lo scopo. Ingenui convinti che fossero questi gesti minori e non il denaro che avevano pagato a rendermi disponibile.
L’illusione, che fregatura. Quando la riconosci negli altri, genera pena. Poi ti fermi a pensare e ti rendi conto che anche tu vivi nell’illusione e allora la pena si trasferisce su di te. Ti viene tristezza e ti senti depressa. E l’illuso di fronte a te? Lui non pensa, vive la menzogna ed è felice così. Chi dei due ha fatto l’affare migliore?

Negli anni ho imparato a rispettare le illusioni. I clienti li ho sempre lasciati parlare, ascoltavo le storie, gli amori segreti, le lamentele sulle mogli e poi parole sconce dettate dalla passione, parole dolci di innamorati persi, pianti, imprecazioni e lacrime di chi si sentiva tradito e abbandonato.

Ho sentito irripetibili parole.
Ho sentito intrepide parole.
Ho sentito indispensabili parole.

Non ho mai giudicato. Ho accolto ed ascoltato questi buffi individui, ma quando scadeva il tempo, niente proroghe, caccia altri soldi o tornatene a casa. Dovevo per forza fare così, il mio datore di lavoro… Seee… a chi la vado a raccontare? Chiamiamo le cose con il loro nome, il PADRONE mi mandava i suoi uomini a prendersi i guadagni.
Arrivava questo tizio, si fingeva interessato a me, a come stavo, se tutto andava per il verso giusto, e poi, preso il contante, approfittava di me tutte le volte ed ovviamente gratis. Non è che avessi molta scelta o questo o smettevo di lavorare. Ed in quel caso il padrone se ne sarebbe fregato, mi avrebbe rimpiazzata, e via, avanti con un’altra sulla strada.
Sono sempre stata un investimento per lui, e come tale mi ha sempre trattato. Per combattere la concorrenza mi ha pure fatto costruire un alloggio di fortuna vicino la strada, non era certo una cosa di lusso, ma offriva una porta ed un tetto ai clienti, che potevano così godere dei miei servigi in qualcosa di meno umido dell’erba alta nei campi coltivati.
Qualcuno ne approfittava solo per avere un riparo. Spesso ho visto clienti litigare con interminabili discussioni su chi avesse più diritto a stare con me in quel rifugio di fortuna.
Una volta un ragazzo magro dalle braccia violacee e piene di buchi mi è morto fra le braccia. È stato terribile, non sapevo cosa fare, chi chiamare, poi un’altro cliente trovandoci insieme chiamò un’ambulanza e la polizia. Non so come il mio padrone sia riuscito a cavarsela, ma fatto sta che non mi sono mai mossa da lì. Chilometro 47 della strada provinciale. Era lì il mio posto, nessuno mi avrebbe fatta andar via.
Facevo bene il mio lavoro e il mio padrone faceva in modo che fossi sempre appetibile. Quando cambiarono le mode il mio vestito lamé fu sostituito con un bell’abito grigio e rosso, ero proprio figa con il mio nuovo aspetto.
Non cambiava solo la moda, anche per chi fa il mio mestiere arriva l’innovazione tecnologica, ed ecco che il mio rifugio di fortuna fu dotato addirittura di un lettore di carte. I clienti arrivavano con la loro tesserina e via, senza mettere mano al portafoglio potevano fare i loro comodi. Vestiti nuovi, pagamenti nuovi, ma il mio lavoro era lo stesso di sempre, sguardi furtivi, dita tremanti carezze e parole, tante, tantissime parole.

Sempre Intrepide Parole.
Sempre Irripetibili Parole.
Sempre Indispensabili Parole.

Tutti abbiamo una data di scadenza, non è scritta da nessuna parte, non sai neanche chi l’abbia scritta, ma ad un certo punto cominci a sentirti vecchia, sei vecchia. I clienti non vengono più, le macchine sfrecciano a tutta velocità, la solitudine un tempo desiderata quando c’era la fila diventa insopportabile. Cominci a sentire il peso degli anni, tutta l’umidità presa ogni notte, e poi i calci e le umiliazioni hanno lasciato segni che invece di guarire diventano sempre più profondi. Nessuno ti cerca più, nessuno si ferma più e ti rendi conto che ormai sei inutile, in piena campagna, in piedi, come il totem di una religione dimenticata. Nient’altro che un palo lasciato ad arrugginire, con le piante che si attorcigliano al piede.

Sento un Incredibile Peso.
Sento Intollerabili Paure.
Sola. Insicura. Paurosa.

Poi un giorno arrivano, gli uomini del padrone. Goffi individui con ridicole tutine, li ho odiati per una vita, ma adesso sono felice di vederli. Smontano i pannelli del mio alloggio, smontano la base. Uno di loro mi gira intorno, rovista alle mie spalle con una pinza in mano, sta per tagliare i fili. Quello davanti a me, con uno dei pannelli in mano dice:
“Guarda che roba, questa cabina telefonica è talmente vecchia che ha ancora la scritta SIP”.

Sentivo Intrepide Parole.
Sentivo Irripetibili Parole.
Sentivo Indimenticabili Parole.


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