Strada facendo troverai un gancio in mezzo al cielo

Da Iomemestessa

Un gancio in mezzo al cielo. Quel gancio a cui, oggi, mi sarei volentieri impiccata, potendo.

Ogni precedente record di figura di merda colossale precedentemente inanellato (e dire che non eran né poche né da poco) è stato sbriciolato dalla mia performance mattutina.

Suona la sveglia, e, nella miglior tradizione della miope che sono, ancora al buio infilo gli occhiali.

Dopo cinque minuti mi lagno con l’uomo di avere la vista offuscata. Mah, che sarà, che non sarà, intanto faccio la doccia e mi sembra che il problema sia risolto.

Esco dalla doccia, e, me misera, me tapina, il problema riprende in tutta la sua intensità. Così mentre vedo tutto sfocato che manco dopo una tanica di mojito, continuo imperterrita nelle mie attività quotidiane.

Il problema non accenna a scomparire, ma, a dirla tutta, non sto neppure così male. Nel frattempo, mi levo gli occhiali e metto le lenti a contatto, senza apprezzabili miglioramenti.

Poi carico la nana in macchina e con la capacità visiva di una talpa, mi dirigo a passo d’uomo alla nanica scuola, dove deposito il virgulto, parlo con la maestra (che poteva essere pure un palo della luce, eh), saluto a caso quattro o cinque persone che mi stanno salutando con convinzione (ma io seguito a non vederci un’emerita ceppa…) mi faccio il caffettino e arrivo in ufficio.

Dopo un’ora davanti al pc, vorrei morire. Un mal di testa lancinante, una nausea che manco quella gravidica, se possibile, vedo sempre meno.

La Donna (cioè mia madre per chi fosse di passaggio) sclera di brutto. Siccome per via paterna l’attitudine a farsi venire ictus prima dei 50 è piuttosto diffusa, comincia a dar di matto, dicendomi che dobbiamo andare IMMEDIATAMENTE al pronto soccorso.

Sto talmente male che acconsento senza troppe storie. La testa mi sta scoppiando, mi viene da vomitare, e, manco a dirlo, vedo un cazzo (non in senso letterale, purtroppo).

Arriviamo nel pronto soccorso di piccola città bastardo posto, dove, sospetto, pensano seriamente che mi sia partita una vena in testa e dopo un triage lampo, scompaio dietro le porte a vetri, giusto in tempo per salutare l’Uomo nel frattempo accorso con uno sventolio di manina che faceva abbastanza soap di quart’ordine.

Cominciano a fare i primi accertamenti col proposito di ficcarmi nel tubo tac a stretto giro, quando l’illuminato medico del p.s. (senza ironie, ringrazio lo sceneggiatore della sua presenza) decide di chiamare a consulto anche l’oculista.

Che dopo un rapido esame, e con una certa difficoltà a restare serio, mi fa: ‘Signora, non so come dirglielo, però… Ecco… si è messa due volte le lenti a contatto’.

In buona sostanza, ier sera non ho tolto le lenti, stamattina mi sono occhialata al buio (non realizzando quindi che, miracolo miracolo ci vedevo, ammesso che appena sveglia io realizzi qualcosa) e da quel momento, mai in nessun momento, tranne mentre facevo la doccia, ho avuto la lucidità di capire che stavo meglio SENZA occhiali.

Credo di non essermi mai vergognata tanto in 40 anni di onorata carriera.


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