Foto da pagina ANPI Fidenza
"Alle madri, alle vedove e agli orfani dei prigionieri fatti uccidere alle Carzole che cosa dico, che cosa rispondo?"Don Franco Chiusa 1880-1963
Queste le parole l'Arciprete don Franco Chiusa alla richiesta di perorare la causa del Tenente Lombardo formulata dall'avvocato di quest'ultimo a guerra finita. La storia, ripresa dal libro che la comunità di Castevetro Piacentino-San Giuliano ha dedicato a don Franco Chiusa "Un grandissimo prete, una grandissima persona, con un grandissimo amore per tutti" ci tocca da vicino, "sul vivo", riporta infatti la testimonianza di chi ha vissuto in prima persona gli ultimi giorni di alcuni, la maggior parte, dei ragazzi fucilati alle Carzole nel marzo del 1945. La sua testimonianza getta una luce più chiara su quei tragici momenti e da un volto umano ai condannati, che le frettolose, ufficiali e parziali ricostruzioni fino ad ora ci hanno consegnato come "prigionieri prelevati dalle carceri di Piacenza" passando ad altro. Ma vediamo il racconto-testimonianza dell'arciprete Franco Chiusa come riportato nel libro richiamato:"I tedeschi si erano accampati a San Giuliano nella Villa Cattadori, e nella vicino Castelvetro, come verso Villanova. All'ingresso del podere Colombarone vi erano due pioppi e su di essi nel 1954 si potevano ancora vedere i ferri di una scala che serviva da vedetta. Nelle scuole di San Giuliano c'erano i fascisti che tenevano prigionieri nelle cantine persone rastrellate in diversi paesi, perché sospettate di essere legate ai partigiani o per avere in mano strumenti di vendetta e rappresaglia. Mi hanno detto che una parte dei prigionieri provenivano da Caorso." "Non so quanto tempo sia durata la prigione nelle cantine delle scuole. Dalle finestre i prigionieri chiedevano pane, sigarette ecc... e don Franco mandava a comperare quanto occorreva, poi il curato don Amilcare Daracchi si serviva dei bambini per buttare la roba dai finestrini della cantina delle scuole. Un giorno non si sono più né visti né sentiti i prigionieri. Si seppe poi che in risposta ad un attacco dei partigiani ai tedeschi nei pressi di Coduro di Fidenza, dove c'erano stati dei morti, i tedeschi in accordo con il Tenente Lombardo avevano prelevato questi prigionieri e li avevano fucilati tre a tre per un totale di quindici persone a Carzole di Coduro, vicino a Fidenza (due dei quindici in modo rocambolesco, fingendosi morti, si sono salvati)."
Chiesa di S. Giuliano Piacentino
Nel resoconto viene chiaramente indicato il nome del tenente Lombardo come uno dei responsabili dell'individuazione delle vittime, forse un "esecutore di ordini" in fondo alla catena di responsabilità che sempre si ritrova a monte di ogni eccidio, strage od esecuzione. Catena spesso difficile da ricostruire nei punti intermedi, se ne conosce la causa o la si suppone, se ne conosce invece l'esito cruento. Tra i due momenti abbiamo perorazioni, affannosi tentativi per stornare il più lontano possibile le ineluttabili e drammatiche conseguenze, compromessi, accordi, tradimenti e vigliaccherie, e sfumano i contorni dei "buoni" e dei "cattivi". Pochi ma non mancano gli atti di eroismo e di coraggio Coraggio presente tuttavia in questo caso ad onore di un altro prete, Don Francesco Stringhini, parroco di Coduro dove avvenne l'eccidio.In quanto al tenente Lombardo ecco quanto sappiano dal nostro prezioso documento librario:
"Il Tenente Lombardo finita la guerra è stato processato. Si è saputo perché si è presentato all'Arciprete un Avvocato, qualificandosi come l'Avvocato del Tenente Lombardo e chiedendo all'Arciprete una lettera di raccomandazione per buona condotta.
L'Arciprete ha risposto: "Alle madri, alle vedove, e agli orfani dei prigionieri fatti uccidere a Carzole che cosa dico, che cosa rispondo? Le offese alla mia persona le posso perdonare come quando il Tenente Lombardo è balzato in chiesa subito dopo la messa del 1 Gennaio contestando la mia predica, ma per gli altri non posso dare attestati di buona condotta."