C’è stata una strage in Ucraina, avvenuta il 2 maggio del 2014, che grida ancora vendetta. Teatro del genocidio fu la città di Odessa, oggi nelle mani di un ricercato georgiano di nome Saakashvili, nominato dal quisling Poroshenko al governatorato dell’omonima regione. Pochi mesi prima, nel mese febbraio, Yanukovic era stato costretto a lasciare il Paese, a causa delle rivolte di piazza alimentate da potenze straniere, dai gruppi parafascisti addestrati dalla Cia nella vicina Polonia e dai tradimenti dei vertici militari, i quali si riassunsero nella penosa scena di un Generale ucraino che inginocchiato consegnava la sciabola della resa nazionale al diplomatico americano John Tefft.
Nel frattempo, l’operazione punitiva di Kiev (Ato) negli oblast (regioni), di Donetsk e di Lugansk, iniziata in aprile, mieteva vittime civili con un’escalation di violenza che di lì a breve avrebbe cambiato volto alle province separatiste, distrutte dai bombardamenti indiscriminati dell’esercito ucraino e della Guardia Nazionale. Chi fossero gli aggrediti e chi gli aggressori, in quella sporca guerra civile che ancora cova sotto la cenere della flebile tregua di settembre, era evidente pure ad un cieco, anche se gli aiuti russi ai ribelli permisero una resistenza impensabile fino a qualche settimana prima.
Ad Odessa però si verificò qualcosa di molto particolare. Scattò una vera e propria trappola ai danni dei filorussi che tentavano di impedire che la città cadesse nelle mani dei majdanisti. A raccontarci di prima mano la dinamica degli eventi fu un attivista locale, Serghey Markhel (qui), il quale era presente durante i disordini di quella funesta giornata di maggio: “Più o meno 400 persone, membri del movimento ‘alternativa popolare’ riuniti in piazza Kulikovo Pole, stavano protestando pacificamente nel loro campo permanente. Lì sono arrivati 300 individui di Praviy Sektor armati fino ai denti, anche con asce e machete. I manifestanti sono stati spinti ad entrare nella casa alle loro spalle (la Casa del Sindacato, ndr), dopo che il loro accampamento era stato incendiato e distrutto dai nazi. Successivamente uomini mascherati hanno gettato molotov vicino alla porta d’ingresso della Casa. L’Incendio è divampato immediatamente chiudendo qualsiasi via di fuga e costringendo la gente a salire ai piani alti. Sotto il tetto erano già appostati uomini mascherati che hanno iniziato la mattanza con ogni tipo di arma, sparando ma per di più usando mazze da baseball, con le quali picchiavano fino alla morte. Quelli che si barricavano negli uffici morivano per asfissia da gas, tipo il cloroformio, fatto filtrare da sotto le porte. Coloro che saltavano giù dalle finestre venivano finiti con le mazze a terra. Usavano anche il napalm, quello della guerra di Vietnam. Poi hanno continuato a gettare molotov per far propagare l’incendio dentro l’edificio, bruciando non solo i vivi ma anche quelli già uccisi prima in vari modi. Una donna incinta è stata picchiata con i bastoni e poi strangolata con il filo del telefono”.
Dietro questo massacro scientemente organizzato c’era l’oligarca filo-americano Igor Kolomoisky che si servì dei suoi battaglioni e di mercenari europei ed americani per dare una dura lezione ai pro-russi, i quali insediavano i suoi affari ed il suo potere economico nella zona.
I terribili avvenimenti furono documentati dagli stessi majdanisti che riprendevano i pogrom con telecamere e telefonini ridendoci macabramente su. Si videro scene tremende con persone che si lanciavano dalle finestre, corpi in fiamme e carbonizzati dalle molotov e uomini finiti a colpi di mazza mentre giacevano al suolo. Morivano solo i filorussi ma una giornalista del Fatto Quotidiano (poi pizzicata a solidarizzare con i gruppi paramilitari di pravy sektor, coi quali si metteva in posa per memorabili foto da consegnare alla storia della vergogna, e con militanti majdanisti sui social network) scriveva sul suo giornale: “la strage di Odessa…perpetrata da russi e uomini provenienti dalla vicina Transnistria”. Incredibile stravolgimento della realtà che fa strame della deontologia e della coscienza umana (alla quale credo pochissimo, dati i risultati).
Le autorità ucraine, di fronte alle pressioni internazionali, furono costrette ad avviare una indagine su quei tremendi avvenimenti ma si capì fin dall’inizio che le stesse non sarebbero giunte da nessuna parte per il coinvolgimento nel misfatto di uomini potenti dell’establishment di Kiev. Le medesime indagini furono assegnate a quei corpi di polizia che nulla avevano fatto per evitare la strage e che sembravano assecondare i criminali majdanisti, come dimostrano i vari video che circolano in rete. Adesso però, come riportato dal sito Sputniknews, il gruppo consultivo del Consiglio d’Europa, in un rapporto dedicato, ha affermato che “le indagini sui fatti di Odessa del 2 maggio 2014 svolte da Kiev hanno violato la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e la polizia è complice della tragedia”. Probabilmente, si arriverà ad una condanna che farà andare dietro le sbarre qualche capro espiatorio mentre i mandanti finiranno quasi sicuramente per cavarsela. Sappiamo come vanno queste cose, ad ogni modo tutti quei giornalisti, anche italiani, che raccontarono la vicenda di Odessa con gli occhi della faziosità resteranno stigmatizzati dal marchio della menzogna per il resto della loro miserabile carriera. Hai voglia a scrivere nel profilo dei propri blog che scopo della passione e della professione è quello di trovare il “giusto approccio alla realtà e al trasferimento di essa in parole, che raccontano fatti. Non opinioni. Sui fatti, dai fatti si può partire per un ragionamento. Ma prima i fatti”.
Prima i fatti eh? Che faccia di tolla!