Riceviamo e pubblichiamo
Di Angelo Favaron
Affrontare la tematica del fenomeno del terrorismo, culminato nel nostro Paese nel corso degli anni 70, in un articolo di poche battute risulta alquanto arduo alla luce del fatto che trattasi ancora oggi di un periodo tra i più bui e difficilmente ricostruibili, in termini obiettivi, della nostra storia repubblicana e della storia d’Italia in generale.
Senza tanti giri di parole, trascorsi quaranta anni dai cd. “anni di piombo”, non vi è alcuna certezza storiografica su quale siano non solo le origini del fenomeno ma altresì su come si sia sviluppato il terrorismo in Italia e quali siano gli effettivi “protagonisti” delle vicende drammatiche in cui il fenomeno medesimo si è tradotto.
Certezze, dunque, poche ed implicazioni politiche tante, dove la dietrologia e la “fantapolitica” possono spesso fare da padroni se non si pone loro un freno fondato sull’analisi documentale ed obiettiva degli eventi.
Che si è trattato di un conflitto generazionale degenerato nell’estremismo esasperato di un’intera parte della società giovanile che pochi anni prima aveva partecipato a livello mondiale alla richiesta di cambiamento degli stereotipi e sovrastrutture di un “mondo vecchio” pochi dubbi insorgono.
E’ la delusione evidente a fronte delle speranze frustrate di un cambiamento necessario ed inevitabile sia del costume sociale che della politica desueta a cui i giovani “sessantottini” chiedevano una svolta liberale che ha determinato il risentimento di coloro i quali hanno ritenuto che il mutamento dovesse essere radicale e soprattutto che non potesse prescindere dalla “lotta armata”.
Da qui i prodromi di quella cultura ideologica che sta alla base della costituzione dei movimenti di lotta extraparlamentare che vedono l’unica soluzione possibile all’empasse creatasi nel determinare una rivoluzione permanente in quello che definiscono “apparato”, realizzabile solo attraverso una rivoluzione armata. A quest’ultima si contrappone la cultura altrettanto estremista ed ideologica di coloro che intravedono nella lotta armata la chiave di volta per sedare in senso eversivo ogni “rantolo di protesta” riportando il Paese ad altrettanto vecchi stereotipi affermatisi nel ventennio precedente al secondo conflitto mondiale.
In conseguenza di ciò ecco sorgere la lotta studentesca, le manifestazioni di protesta, l’occupazione delle Università ed i primi scontri armati con le forze dell’ordine e con gli “antagonisti politici” che da destra e da sinistra, per l’appunto, inseguono un progetto di cambiamento anche se in senso radicalmente opposto.
La degenerazione diviene inevitabile allorché i gruppi di destra e di sinistra, che caldeggiano la lotta armata e che si traducono in una miriade di sigle tristemente note e bipartisan BR, NAR, GAP, Prima Linea, Ordine Nuovo, NAP, Ordine nero etc, intensificano gli atti di lotta che culmina in attentati a magistrati impegnati nelle inchieste giudiziarie nei confronti dei “camerati” e dei “compagni di lotta”, esponenti delle forze dell’ordine in prima linea per reprimere il fenomeno, politici fautori di programmi invisi e non condivisi dai rispettivi leaders dei vari gruppi.
Per non parlare del fenomeno ritorsivo negli scontri tra gruppi armati di destra e di sinistra che spesso viene a coinvolgere persone che nulla hanno a che spartire con la lotta armata ma che divengono vittime di un sistema di rappresaglia per il solo fatto che aderiscono ad un determinato movimento di destra e/o di sinistra o che si trovano al posto sbagliato nel momento sbagliato.
In tutto ciò viene comunemente iscritto anche il fenomeno delle stragi di massa il cui incipit è la strage di Piazza Fontana ma che rende necessario ricordare anche le altre stragi più cruente di Piazza della Loggia, del Treno Italicus, della Stazione di Bologna che tanti cittadini innocenti hanno coinvolto ed ucciso o irrimediabilmente segnato per tutta la vita.
Non sembra però che la verità processuale e fattuale delle vicende stragiste riconduca pienamente le stesse ad una responsabilità dei gruppi armati quanto piuttosto di altri poteri occulti e non, che hanno utilizzato il fenomeno per poter perseguire indisturbati le proprie finalità.
Ciò è valido anche per l’ulteriore vicenda, che ancora desta opinioni contrastanti sugli esiti, del rapimento di Aldo Moro, dai più visto come “il canto del cigno” del fenomeno terroristico degli anni di piombo.
Quale sia la verità non è dato ancora sapere né è evidente quale sia stata la reale commistione che vi è stata tra la rivoluzione – eversione armata e taluni “pezzi” dello Stato nella gestione del “terrore nero” o “rosso” che sia.
Inviterei a riflettere sulla circostanza, spesso sfuggita anche agli autorevoli studiosi del periodo, che non sarebbe scandaloso parlare di tali fatti in termini di “guerra civile”. A mio avviso tali fatti hanno differito ben poco da quelli che notoriamente si riconducono nei libri di storia contemporanea alla “guerra di liberazione” o “guerra partigiana”.