Le stragi fasciste dalla P2 al PDL. Se persino Priore, giudice di Ustica, usa gli argomenti di Gelli e Cossiga
di Riccardo Lenzi
Bologna, giugno 2009: sfregio al sacrario dei caduti partigiani e alla lapide che ricorda le vittime del terrorismo fascista.
Nell’anno in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha manifestato una particolare vicinanza ai familiari delle vittime del terrorismo, la discussissima finanziaria del governo Berlusconi si appresta ad eliminare una serie di diritti riconosciuti ai familiari stessi: alla già vergognosa mancata applicazione della legge sui risarcimenti (legge 206, approvata dal Parlamento all’unanimità), pare si voglia aggiungere qualche altro taglio tremontiano. Così lo Stato, nel silenzio generale, sputa in faccia a quei rompiscatole dei familiari.Ciò nonostante l’attenzione degli opinionisti italiani è altrove. Bologna, 19 agosto 2011: le cronache locali informano che la Procura, impegnata nella ricerca dei mandanti della strage del 2 agosto 1980, ha iscritto nel registro degli indagati due terroristi tedeschi (“di sinistra”), Thomas Kram e Christa Margot Frohlich, entrambi legati al gruppo del terrorista Carlos. E così torna di moda la cosiddetta pista palestinese, filone di indagine già smontato a suo tempo dai giudici, riportato a galla anni fa dalla Mitrokhin, commissione farsa istituita nel 2002, presieduta da Paolo Guzzanti e chiusa per “fallimento” nel 2006 quando l’autorevolissimo consulente Mario Scaramella (già indagato per violazione di segreto di ufficio, traffico d’armi, calunnia, traffico di rifiuti nocivi) venne arrestato dalla Digos di Napoli.
Puntualmente, sul finir dell’estate, anche il principe dei commentatori garantisti ha voluto dire la sua: Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, ha rimesso in discussione le sentenze che hanno condannato in via definitiva Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini quali esecutori materiali della strage alla stazione di Bologna. Tesi revisionista che, fin dal 1994, è condivisa da tanti altri più o meno autorevoli commentatori e da personaggi politici, in particolare Pannella e i Radicali. Tutti impegnati a mettere in discussione la verità sancita nel 1995 dalla Cassazione: quella del 2 agosto 1980 è una strage fascista; a portare la bomba in stazione furono terroristi neofascisti; a depistare le indagini furono Licio Gelli, Francesco Pazienza e gli ufficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (entrambi iscritti alla loggia P2).
L’estate in cui l’Italia rischiò il crack ha oscurato le altre notizie di un agosto già di per sé vocato alla generale distrazione. E così è passato in cavalleria anche l’ennesimo affronto della destra “di governo” ai familiari delle vittime di una strage: come non fosse bastata l’offensiva (e non inedita) assenza del governo al 31° anniversario della strage alla stazione di Bologna, il deputato Pdl Fabio Garagnani – dopo aver auspicato la presenza dell’esercito a Bologna il 2 agosto (sic!) – ha addirittura denunciato il presidente dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, perché nel discorso pronunciato lo scorso 2 agosto davanti a circa diecimila persone avrebbe, secondo il geniale deputato, “vilipeso le istituzioni”. In che modo? Dicendo a voce alta quello che tutti sanno: Silvio Berlusconi era iscritto alla P2 di Licio Gelli, il gran maestro condannato per i depistaggi dalle sentenze che, dopo decenni, portarono anche alla condanna degli esecutori della strage: i “NAR” Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (quest’ultimo condannato in via definitiva solo nel 2007). In realtà il vero vilipendio è quello di cui il “capo” di Garagnani – nonché, ahinoi, nostro presidente del Consiglio – si macchia quotidianamente. Ma quella di Garagnani non è che una delle tante sparate polemiche che, dopo aver ottenuto l’effetto di sviare l’attenzione dal merito (l’inchiesta sulla “strage fascista” non è chiusa: la Procura di Bologna continua a cercare i mandanti), sono state spazzate via dal rumore dall’allarme estivo per la crisi economica e il conseguente “commissariamento” dell’Europa, che hanno sviato nuovamente l’attenzione degli italiani.
Non tutti sanno che quest’anno ricorre anche il trentesimo anniversario della fondazione dell’Associazione tra i familiari delle vittime (primo presidente l’indimenticabile Torquato Secci)., fondata il 1° giugno 1981 con il seguente scopo statutario: “Ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta”. La destra italiana ha dunque pensato che fosse l’occasione giusta per fare la festa ai fastidiosi familiari che, nonostante gli attacchi subiti e le amarezze patite, non si sono ancora stancati di chiedere “giustizia e verità” (mancano ancora i mandanti della strage) e persino – udite, udite – a rivendicare i propri diritti, compresi quelli previsti dalla legge 206 sui risarcimenti, tuttora vergognosamente inapplicata.
Ciclicamente personaggi di variegato spessore attendono la vigilia dell’anniversario della strage per rilasciare dichiarazioni che, nella volontà del dichiarante, dovrebbero essere considerate “rivelazioni”. Salvo poi rischiare di scoprire che le “imminenti svolte giudiziarie” via via evocate, spesso con macabro tempismo, altro non sono che le arcinote “piste internazionali” già percorse tanti anni fa da depistatori condannati: la pista austriaca, la pista francese, la pista argentina, la pista libanese, la pista palestinese e persino la pista.. libica. Già, perché nel tourbillon di ipotesi fantasiose ce n’è una che vorrebbe collegare la strage di Ustica e quella di Bologna. È un po’ vecchiotta, ma torna sempre di moda… Il primo a chiamare in causa Gheddafi fu il democristiano Emilio Colombo, ministro degli esteri del governo Cossiga: era il 5 agosto 1980.
Ma il principale sponsor della pista libica sarà proprio Valerio Fioravanti: “Durante uno dei mille processi mi è venuta un’illuminazione. Un mese e mezzo prima di Bologna è caduto l’aereo a Ustica. Sono stati caccia della Nato a sparare per far fuori Gheddafi. Hanno sbagliato bersaglio. E l’Italia, il nostro governo, non poteva certo accusare gli americani di avere ucciso, per sbaglio, 81 civili sui nostri cieli. (…) nessuno è stato mai condannato per aver tirato giù l’aereo a Ustica. Se il governo italiano ha taciuto su Ustica, non tirando ami in ballo l’ipotesi dell’attacco sbagliato a Gheddafi, tanto meno poteva accusare Gheddafi di essersi vendicato 40 giorni dopo a Bologna”. [intervista del 2003 a Gianluca Semprini]
Non sarebbe da stupirsi se, oggi che Gheddafi pare liquidato (?), improvvisamente si cominciasse a parlare di un qualche archivio del dittatore, conteso tra questo e quel servizio segreto. E della necessità di rispolverare la pista libica… Vedremo.
Tra i fan della pista palestinese spicca invece il nome del magistrato Rosario Priore, giudice del processo su Ustica che, da qualche anno, sente la necessità di sottoporre alla nostra attenzione – e a quella degli inquirenti bolognesi – le proprie convinzioni (spesso analoghe a quelle del presidente Cossiga): “Bisogna vedere se dopo queste nuove piste emergeranno elementi tali da indurre a una revisione del processo. La tesi su cui si stava lavorando alla procura di Bologna era quella di un attentato di matrice palestinese, del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FLP), il cui leader per l’Italia era in carcere per la famosa storia dei missili di Ortona” (dichiarazione rilasciata il 31 luglio 2011). Non si capisce bene quali siano le piste “nuove”, ma il diritto di parola sancito dall’articolo 21 della Costituzione va ovviamente riconosciuto anche a Priore. Ci mancherebbe. Solo un paio di domande sorgono spontanee. Chissà perché un magistrato con la sua reputazione, anziché raccontare ciò che sa direttamente ai magistrati, preferisce telefonare ai giornalisti? Chissà perchè nel 2010, sempre alla vigilia del 2 agosto, Priore ritenne di dover partecipare ad un convegno, alla Camera dei Deputati, organizzato nientepopodimenoche dalla deputata berlusconiana Barbara Saltamartini?
Questi sono i veri “misteri d’Italia”. Per quanto riguarda la strage di Bologna di misteri non ce ne sono: ci sono solo segreti. Segreti che alcune persone ancora vive conoscono. Qualcun altro che li conosceva, invece, è morto: il 6 ottobre 2010, per esempio, a Sergio Calore hanno spaccato la testa con un piccone e lo hanno sgozzato… Calore era stato uno dei primi collaboratori di giustizia dell’eversione nera e si era sposato con una ex brigatista. Nel 1977 fu tra i fondatori della rivista “Costruiamo l’azione”, insieme a Fabio De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini e Paolo Aleandri. Due anni dopo Valerio Fioravanti conobbe, in carcere, sia Calore che Signorelli.
Ancora oggi caos e disinformazione producono risultati: come al solito nessuna loquace comparsa ha rilasciato dichiarazioni sul contenuto dei discorsi ufficiali di Paolo Bolognesi. Non si discute, per esempio, delle intercettazioni in cui Gennaro Mokbel, oggi agli arresti domiciliari, rivendicava così la scarcerazione dei pluriergastolani Mambro e Fioravanti: «Tirarli fuori dal carcere mi è costato un milione e duecentomila euro»…
No, si preferisce parlare d’altro. Nessuno o quasi, specie sulle pagine nazionali dei quotidiani, ha messo in evidenza l’ennesimo sfregio del governo ai familiari delle vittime e alla città di Bologna, rifiutando di partecipare alla commemorazione con il falso alibi dei fischi (fischi che, finché non si processeranno i mandanti della strage, ogni governo avrebbe il dovere di sopportare). A due anni dalla definitiva scarcerazione di Valerio Fioravanti – dopo 5 anni di libertà condizionata; anni di carcere effettivamente scontati: 18 (settanta giorni per ogni persona uccisa) – è tornata di moda la pista palestinese. In attesa che anche in Italia, prima o poi, i comuni mortali (i fantomatici “cittadini”) possano accedere ad archivi pubblici informatizzati e, perciò, facilmente accessibili – e in attesa della effettiva abolizione del segreto di stato sulle stragi – la faticosa ricerca della verità, in Italia, deve ciclicamente fare i conti con le esternazioni di politici, magistrati, avvocati, liberi pensatori e depistatori più o meno professionali: tutti impegnati ad alzare polveroni e polemiche, il cui unico esito (lo scopo?) è quello di creare confusione nell’opinione pubblica. Naturalmente a discapito della verità e della cosiddetta “informazione”.
Nelle scorse settimane il solo fatto che dalla Procura di Bologna sia trapelata la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati (“indagati, non arrestati” ha fatto notare Libero Mancuso, ex pm del processo che ha condannato all’ergastolo Valerio Fioravanti e Fancesca Mambro in quanto esecutori della strage). Come ha scritto il giornalista Mario Adinolfi – aggredito da otto ragazzini lo scorso 8 gennaio a Roma – sul suo blog: “Rimettiamo in ordine i tasselli. Giusva Fioravanti e Francesca Mambro sono incredibilmente liberi, nonostante abbiano sulle spalle la condanna all’ergastolo per il più grave atto criminale mai compiuto nell’Italia repubblicana (la strage di Bologna) e complessivamente nove ergastoli per aver ucciso poliziotti, carabinieri, magistrati, ignari passanti, minorenni e camerati che potevano incastrarli. Gennaro Mokbel dice di aver speso un milione e duecentomila euro per tirarli fuori di prigione. Gennaro Mokbel ha legami con la massoneria, infiltra le forze dell’ordine, ha un senatore come “schiavo” [l'ex senatore del PDL Nicola Di Girolamo, nda] e gli stessi Mambro e Fioravanti gli dimostrano deferenza, amicizia, gratitudine. Le telefonate intercettate tra le due coppie sono decine”.
A prescindere dalle indagini (del passato, del presente e del futuro), questi sono fatti storici inoppugnabili. Con buona pace di giornalisti “impegnati” come Minoli e Provvisionato. A distanza di trent’anni il quadro storico-politico all’interno del quale maturarono le stragi di piazza della Loggia, dell’Italicus, di Bologna e del Rapido 904 è più che consolidato. La giustizia farà il suo corso, per quel che le compete. La memoria di ciò che è dimostrato in milioni di pagine di atti giudiziari e la incessante ricerca della verità sui mandanti, invece, sono obiettivi che non riguardano solo la magistratura. E nemmeno solo i governi, fortunatamente… La verità sulle stragi (non solo quella di Bologna) è un impegno troppo serio per appaltarlo in esclusiva agli “addetti ai lavori” di turno. Per arrivare ai mandanti c’è bisogno di una precondizione: la volontà popolare di conoscerla, la verità. Di pretenderla.
Ad ognuno, l’occasione per riflettere. A modo suo. MaLo