Stralci d'Ispirazione - 12 - Leila

Da Dalailaps @dalailaps
       Leila è una mia coetanea. Ha un bel viso, un corpo atletico derivato da anni di pallavolo, due occhi verdi che aveva sempre aperto stupore anche alla più semplice delle cose.Frequentavamo lo stesso liceo, ma in sezioni differenti. La ricordavo come una ragazza solare, gentile e intelligente. Ma ora è cambiata. 
Le sono successe cose brutte e non ha saputo più che strada percorrere e che indirizzo dare alla sua vita. E ora, neanche si trattasse di sarcasmo, è proprio di questo che si tratta. Di stare in mezzo a una strada e non saper più che farsene della giovinezza, o come mi ha detto lei, di quel dannato Cammin di nostra vita.
Leila uscì dalle superiori con un voto che non rispecchiava per niente i voti di quel suo ultimo anno: i suoi s’erano separati dopo trent’anni di matrimonio, a giugno, proprio due giorni prima di quel primo test d’esame, quello d’italiano, che finì per riempire di orrendi pensieri su Boccaccio e le sue novelle.I suoi si risistemarono entrambi, mettendola in secondo piano rispetto le loro esistenze. Forse per volontà di dimenticare il passato, forse per amore, forse per entrambi i fattori.
Lei si mise in storie sentimentali che la distrussero, si buttò anima e corpo su un lavoro di segretaria che le consentì di andarsene da casa di suo padre e da quella sua stupida nuova fidanzata. Era anche riuscita ad allontanarsi da sua madre e dei suoi continui isterismi riguardo a quanto lei fosse brava a far tutto e sua figlia avesse preso tutto dal padre, come non dimenticava mai di sottolineare. Di base era stufa di sentire le urla di piacere di quella trentenne idiota che si sbatteva il padre, senza un minimo di ritegno per lei che cercava di dormire nella stanza accanto, o di sentirsi osservata e giudicata come fosse in lizza per chissà quale riconoscimento, dalla parte materna.
Alla fine, a causa di una serie di litigi familiari che non mi ha ben spiegato, ha che chiuso ogni rapporto con quella che era stata la sua famiglia, finendo per vivere con un coniglio grigio e facendosi aiutare da quasi tutti i condomini di quel palazzo in stile anni ’70 in cui era finita. Sono certa che il suo bel sorriso abbia fatto la sua parte.
Poi arrivò un ragazzo, Matteo. Di quelli talmente belli da sembrare finti. E infatti la favola non durò e la portò a quel punto della vita di cui vi parlavo prima.Stettero assieme per quasi cinque anni. Durante gli ultimi due lei perse quel lavoro di segretaria che l’aveva salvata dalla famiglia e non riuscì più a trovare qualcosa da fare. Vuoi per mancanza di esperienza, vuoi che le aziende preferivano scegliere ragazze con un livello di studi più alto o, come constatò nel numero maggiore dei casi, le ragazze assunte erano figlie di qualcuno che c’aveva umilmente messo una buona parola.Lei riuscì, in segreto, a conservare qualche risparmio in un conto corrente di cui lui neanche sapeva. Lo aveva aperto in una banca che aveva scelto per il semplice fatto che le piaceva un sacco l’arredamento giallo degli interni.Così, quando lui si stufò – perché da quanto mi ha detto pare si trattasse di semplice disinnamoramento – lei si trovò senza un tetto sulla testa, con le sue cose buttate su un pianerottolo e senza neanche quel coniglio che le faceva compagnia quando lui era al lavoro.Trovò un monolocale il giorno stesso. Visse di pasta all’olio, acqua di rubinetto e sapone di sottomarche tedesche in vendita nel discount dall’altra parte della strada. Quello la cui insegna illuminata le faceva compagnia mentre passava notti intere a riflettere sul da farsi, spegnendo la luce e cercando di illuminare la sua logica. 
Ed è lì che arrivò alla triste conclusione. A ragionamenti da cui le donne nelle più tristi condizioni vengono sfiorate come dal vento freddo che ti taglia le labbra.Per vivere finì sulla strada. Con capelli e gonna accorciata grazie a un paio di forbici per unghie, con magliette strappate sul petto e un trucco per cui sperava di non essere riconosciuta. Per me era impossibile non capire chi lei fosse.
Una sera, dopo una cena con amici e a una birra in un pub, arrivammo a quel classico momento della serata in cui parli di cazzate prima di salire in macchina e tornartene a casa. Eravamo fermi su un parcheggio che una strada a tre corsie divideva da una stazione di benzina. Mentre parlavamo di vecchie pubblicità e di sigle di cartoni animati un mio amico disse: Guarda, quella è appena scesa da quel furgone per invalidi!La guardavamo tutti, i ragazzi facevano battute sul fatto che nel frattempo più di una macchina si era fermata ed era ripartita senza di lei; frasi del tipo Adesso vado lì e le chiedo se, per pura curiosità, mi può dire quant’è che vuole visto che tutti se ne vanno sgommando. Io guardai meglio, probabilmente perché volevo credere a una somiglianza più che alla realtà, facendo un passo verso il bordo del marciapiede dove un po’ di neve era ancora ammassata dall’ultima nevicata.
Deglutii. Non sapevo cosa fare.
Tornai la sera dopo, la avvicinai e lei si ricordò immediatamente il mio nome. La feci sedere in macchina e dopo averla ascoltata le offrii un aiuto e del denaro che lei non accettò. Pianse, senza mai guardarmi negli occhi. Mi chiese di riportarla a casa: lasciarla sola, come mi chiese, mi fece male al cuore.
Quella notte non dormii. Pensavo a lei e alla sua vita rovesciata. A quante ragazze sono come lei. A quanto quella ragazza avrei anche potuto essere io.
Due giorni dopo mi chiamò per chiedermi aiuto.   

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