Data la mia recente e del tutto imprevedibile passione per quel sottocapitolo della guerra fredda che a sua volta è un sotto-sottocapitolo della voce Novecento che a sua volta è un sotto-sotto-sottocapitolo della parola egemonia, vale a dire la cosiddetta corsa allo spazio, vago da giorni in giro per la rete alla ricerca di immagini di razzi spaziali. In particolare di quei primi razzi adoperati al principio degli anni Sessanta per le missioni più o meno segrete, tanto sovietiche quanto americane, e ancora più in particolare quei lanciatori che portarono in orbita i primi voli spaziali circumlunari. In tutto questo sono giunto alla conclusione che, da un punto di vista puramente estetico, per esempio, il lanciatore Soyuz è di una bellezza leggendaria che batte dieci a zero tutti gli altri lanciatori sovietici e americani. Il lanciatore Soyuz infatti è pressoché identico alla torre della televisione di Berlino, al punto che non posso fare a meno di immaginare questo razzo mentre scalda i motori e si solleva da terra trascinandosi dietro una città, un’epoca e un sistema di vita. Il che opera su di me una fenomenale e indecifrabile forma di seduzione.
Sempre in tema di razzi spaziali, di cosmo, di quelle cose lì, vivo da mesi un periodo di isolamento mentale e esistenziale tra i più duri e complicati che mi siano capitati nel corso della mia poco interessante vita. Accanto alla passione estetica per i lanciatori, ho perciò sviluppato un interesse per le teorie dei cosmonauti sovietici perduti nello spazio, che in realtà non sono delle vere e proprie teorie, ma delle autentiche bufale, o leggende metropolitane, con tutto il carico di fascino balordo che si porta dietro questo genere di cose. Per esempio la settimana scorsa ho partecipato alla presentazione di un libro in una grande libreria del centro, e come mi capita nove volte su dieci sono arrivato con un imbarazzante anticipo, perciò mi sono messo a vagare tra gli scaffali della libreria, e a un certo punto mi sono sentito piccolo, ma di una piccolezza che sfiorava l’astrazione, e ho pensato che forse mi sentivo come il Major Tom di Space Oddity, perduto nell’universo, che si ritrova a galleggiare attorno al suo barattolo di latta sopra la Luna e dice che il pianeta Terra è blu e che non c’è più niente che lui possa fare.