Gozo è un uomo di potere; compaiono spesso i suoi discorsi in televisione dove dà consigli sul bene e il male, su cosa è giusto e cosa non lo è.
Dall’età di 12 anni abusa sessualmente della figlia Mitzuko e inoltre la chiude nella custodia di un violoncello dove ha praticato un buco, perché vuole che assista ai rapporti sessuali con la madre. E’ un uomo assolutamente asservito alla compulsione sessuale e non esiterà a far scoprire alla moglie la figlia che osserva, portando entrambe al ruolo reciprocamente invertito di attiva e passiva.
Inizierà un rapporto conflittuale nei confronti della figlia di cui diventerà gelosa, nonostante Mitzuko avesse un’adorazione per la madre e nonostante la bambina fosse vittima del padre.
Io sono stata condannata a morte sin dalla nascita o forse mia madre era condannata da quando mi ha messo al mondo.
Queste parole di Mitzuko, ripetute come una cantilena, saranno il filo conduttore del film e condurranno all’esito e alla spiegazione finale…
Ripeteva infatti Mitzuko che dopo essere stata stuprata dal padre non sentiva più il suo corpo, era come se le gambe le fossero state amputate.
Un giorno, durante una violenta lite, Mitsuko spinge la madre dalle scale e la uccide. Subito dopo la bambina inizia a comportarsi e a pensare come la madre, fino a quando tenta il suicidio, gettandosi da una terrazza. Mitsuko viene salvata, ma è costretta a stare su una sedia a rotelle.
Tutto ad un certo punto sembra rivelarsi non una storia vera ma semplicemente il racconto fantastico di una narratrice.
Subentra un nuovo personaggio, la scrittrice Taeko, la quale ha un grande estimatore, un giovane androgino che diventerà il suo assistente.
Una serie di flashback, colpi di scena e cambiamenti di ruolo porteranno lo spettatore a dover cambiare l’idea che si era fatto della storia fino ad un esito finale inquietante, perfettamente congegnato e assolutamente convincente.
Un film thriller che non può essere raccontato senza svelare e senza contaminare gli sviluppi della sorprendente sceneggiatura.
Un film che si apre e si chiude con una parentesi visionaria circense.
Strange circus è uno strano connubio tra orrore e candore tra bestialità e garbo metaforicamente rappresentate proprio dal circo, spettacolo di contrasti che vanno dal grande divertimento alla malinconia più estrema. Il rosso delle pareti ha il colore del sangue che scorre sul corpo delle donne, la musica, composta dalla stesso Sono, mescola pezzi classici, musica clavicembalistica e pezzi circensi.
Non è mai la virtù ma sempre il vizio a dirci chi è di volta in volta l’uomo… e come diceva Bernard de Mandeville “nè le qualità socievoli né le affezioni benevole che sono naturali all’uomo, né le virtù reali che egli è capace di acquistare con la ragione e con l’abnegazione, sono il fondamento della società; ma ciò che noi chiamiamo MALE in questo mondo, male morale o naturale, è il gran principio che ci fa creature socievoli, la solida base, la vita e il sostegno di tutti i commerci e gli impieghi senza eccezione”, e, per conseguenza, se il male cessasse la società si avvierebbe al dissolvimento. Ragionamento plausibile in quanto la tendenza al lusso aumenta i consumi, porta all’incremento dei traffici e delle attività umane e poiché la virtù consiste essenzialmente nella rinuncia al lusso, è direttamente contraria al “benessere” del capitalismo e allo “sviluppo” della società civile.
Il vero lusso in questo caso è concedersi la visione di questo strano circo che rappresenta il nostro mondo, egregiamente narrato attraverso iconografie barocche grottesche ed estreme, inquietanti, disturbanti e claustrofobiche. Un sublime cromatico dal quale trasuda il piacere e il dolore del male di una ideologia al servizio della deformazione antropologica.
C’è solo da chiedersi cosa potrà ancora il cinema dopo Sion Sono…
Beatrice Bianchini