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Prima di Twilight e della saga di New Moon, prima dei vampiri belli e non più dannati, prima di True Blood, The Vampire Diaries, Supernatural e compagnia televisiva, c’è stata lei. Kathryne Bigelow. Prima di Blue Steel e Point Break c’è Near Dark (Il buio si avvicina). È il 1987 e la giovane regista americana butta giù un copione a quattro mani con Eric Red, già autore del cult horror The Hitcher (1986) e poi dietro la macchina da presa per il meraviglioso (e purtroppo dimenticato) Cohen and Tate (1988, passato in Italia come Le strade della paura). L’horror vive un periodo particolare: Romero è nella fase melodrammatica di Monkey Shines, Carpenter è avvinghiato nella telecrazia anarchica di They Live, Cronenberg lacera la nuova carne della mosca e degli inseparabili Jeremy Irons e Jeremy Irons, il terrore nostrano rantola tra gatti nel cervello e corvi all’Opera. È così che la Bigelow ha un’idea diversa dal solito per il suo primo film: ambientare una classica storia di vampiri con protagonisti adolescenti, belli e dannati, sotto il sole cocente dell’Oklahoma.
Caleb è un belloccio dall’animo ruvido e al tempo stesso gentile: il suo miglior amico è un cavallo. Una sera incontra l’affascinante Mae e per sedurla fa di tutto, compreso donarle il suo collo. Senza sapere che la ragazza è una vampira e fa parte di una stramba combriccola composta da una coppia, Jesse (splendido il volto solcato dalle rughe di Lance Henriksen) e Diamondback, da un sadico sudista psicopatico di nome Severen (un poco credibile Bill Paxton) e da Homer, uomo nel corpo di un bambino. Caleb non vuole uccidere per sopravvivere e soddisfare la propria sete di sangue. Deve farlo quando è rapito dai cinque e costretto a battere le polverose strade degli States in cerca del sacro nettare rosso. Solo l’amore potrà salvare la sua anima, ricondotta sul sentiero della giustezza dalla presenza del padre e della sorellina Sarah, in viaggio sulle sue tracce.
Un intreccio piuttosto banale, condotto con superbo polso narrativo e condito da qualche dialogo illuminante. La Bigelow declina al maschile la classica storia d’amore impossibile, immerge il vuoto ed il buio interiore dei personaggi nell’afosa calura del Texas, gira pagine memorabili di grande cinema quando evoca il primo bacio di Caleb e Mae con un ralenti da brividi e assedia il cerchio dei freak in un motel con la sapienza di un western d’antan. Pulsioni sessuali e voracità di stomaco sono tenute a freno, ci sono altri legami da conservare. Istinti che si gonfiano di paure ed ossessioni, tra tentazioni melodrammatiche e debordanti deflagrazioni action. Un talento visivo straordinario, immerso in luci tipicamente eighties ed imperniato sulla condizione disagiata dell’emarginato, differente per status sociale e scelta etica. Near Dark è anche questo: il corpo del cinema che muta, che ha bisogno d’amore, sangue e violenza per il suo solo scopo. Sopravvivere.
Lasciatevi accecare dalla notte. La sentite? Sarà bellissimo.
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