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Il viaggio nei meandri dell’arte urbana non poteva cominciare se non dalla New York degli Anni Ottanta, ovvero da The Universe of Keith Haring: semplicemente perfetto il documentario firmato da Christina Clausen, che sa testimoniare con rigore storiografico le caratteristiche fondamentali della scena artistica dell’epoca, ma al tempo stesso riesce a tratteggiare il ritratto commosso – ma mai stucchevole – di uno tra i suoi protagonisti più rappresentativi. E tragicamente sfortunati. Ucciso giovanissimo dal virus dell’HIV, Keith Haring resta figura di fondamentale importanza per l’evoluzione delle arti visive: a ricordare l’uomo, prima che l’artista, sono tra gli altri David LaChapelle e Yoko Ono, Kenny Scharf e Bill T. Jones.
A seguire ci spostiamo avanti nel tempo per la “non-biografia” di una tra le più sfuggenti artistar in attività: Banksy, naturalmente. Che sceglie di raccontarsi implicitamente nel suo celebre Exit through the gift shop. Non un documentario su Banksy. Ma un documentario su Thierry Guetta che vuole fare un documentario su Banksy! Finendo per diventare egli stesso artista, giocando sul confine tra genuinità e speculazione, boutade e reale valore concettuale; conoscendo un successo tanto sfolgorante quanto effimero. Attraverso questo gioco narrativo ironico e sarcastico, Banksy ci svela le contraddizioni e i tranelli di un mondo fatto di illusioni.
La curiosità – Artista fenomenale, uomo di grande generosità. Keith Haring ha sempre messo la propria visibilità in gioco per sostenere cause dal profondo impatto sociale. Leggendario il suo murale che ad Harlem sensibilizzava i giovani contro l’uso delle droghe pesanti; nel 1987 decora una parte dell’ospedale pediatrico Necker di Parigi, alleviando con l’energia della sua arte la sofferenza dei degenti.