La nostra cara vecchietta con la scopa ha tante sorelle nel mondo. E non si tratta di una globalizzazione del mito, come nel caso di Santa Claus [il caro Babbo Natale, divinità dei boschi originariamente vestito di verde e poi per sempre associato al bianco e rosso della più nota tra le bevande], ma di esiti diversi di antiche divinità appartenenti alle diverse tradizioni religiose precristiane (con rituali annessi).
Per la Befana si tratta dell’antica dea romana Strina/Strenua, contraltare femminile di Giano, le cui celebrazioni avvenivano all’inizio dell’anno, quando i consoli entravano in carica; in quella occasione vi era la consuetudine di scambiarsi doni di buon auspicio per l’anno, in analogia a quanto accadeva pochi giorni prima per i Saturnalia, le festività dedicate al solstizio d’inverno.
Le fonti (Varrone e Sesto) ci testimoniano che alla dea fosse dedicato un boschetto lungo la Via Sacra, da cui sarebbero stati colti e donati rami di verbena a Romolo; secondo un’altra tradizione, al culto della dea erano associati fasci di una particolare varietà di salice, salix viminalis, da cui il colle romano deriverebbe il proprio nome. Nel folklore popolare, col tempo, i sacri fasci si trasformano nella ben nota scopa, con funzione essenzialmente apotropaica.
La cosa estremamente interessante è che il bosco, la scopa e una strana capanna che si regge su zampe di gallina (e sembra avere vita propria, muovendosi nella foresta, con le finestre che le servono da occhi)sono gli attributi anche della Baba Yaga, anzi, delle tre sorelle (!) che portano lo stesso nome. Nel folklore russo, la Baba Yaga è una figura ambivalente: a volte vista come orribile e spietata, a volte come benevola protettrice. Gli antropologi, in particolare Michail Chulkov, includono questa figura tra le divinità pagane della tradizione slava, i cui attributi erano un mortaio e un pestello di ferro, e a cui venivano tributati anche sacrifici umani; Afanas’ev invece riconosce nell’aspetto benevolo di Baba Yaga una derivazione della Gran Madre (un proverbio russo recita peraltro il forno è tua madre, alludendo appunto al grande forno di mattoni presente nella capanna della Baba Yaga, in cui finiscono molti dei suoi visitatori; il che ci permette di riconoscerla nella famelica strega di Hansel e Gretel).
E poiché non mancano anche assimilazioni a figure della tradizione mitica occidentale, come Persefone dea degli Inferi (dunque come Ecate), appare evidente che tutte queste figure abbiano le proprie origini nel comune patrimonio mitico indoeuropeo, e che le successive differenziazioni siano giustificate alla luce delle specifiche tradizioni culturali espresse poi dai diversi popoli nelle loro diverse lingue.
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Dopo questo lungo excursus, è giunto finalmente il momento di confessare dove voglia andare a parare questo post. Semplice: a dedicare a tutti voi il nono dei Quadri di un’esposizione di Mussorgskij, dedicato appunto alla capanna dalle zampe di gallina della nostra terribile strega. Così, per concludere in bellezza le feste, prestamente portate via sulle veloci scope delle streghe d’Europa. Buon ascolto. E ditemi se, chiudendo gli occhi, non vi sembra davvero di vederle fare le acrobazie tra i cumulonembi.
RISORSE
*Il blog romanoimpero, ottima fonte sui riti e il patrimonio folklorico e mitico legato alla dea Strenua;
**Il libro di Andrea Johns sull’ambiguità della figura di Baba Jaga, e sulle testimonianze del mito e della letteratura (Johns cita Babel’ e Solgenitzyn; io non sono riuscita a scoprire in quali opere ne parlino);