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Stregoneria in umbria: la strega matteuccia da ripabianca

Creato il 03 settembre 2014 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

matteucciaIl  20 Marzo ricorre l’insolito anniversario della messa al rogo di Matteuccia, strega tuderte condannata ad essere arsa viva dal tribunale laico della sua città. Correva l’anno 1428, quando gli abitanti di Todi – nel giorno che precede l’equinozio di primavera – venivano scossi dalle strazianti urla di una donna, legata mani e piedi su di una pira alla quale il Capitano della città aveva appiccato il fuoco.

Se Matteuccia avesse potuto immaginare che oggi, a una dozzina di giorni di distanza dalla sua crudele esecuzione, si celebra la festa della donna, sarebbe rimasta alquanto sconcertata dall’ironia che traspare dalla vicinanza di queste due date. Se poi avesse saputo che negli anni ’90 – in base ad un autorevole ricerca universitaria – Todi sarebbe stata definita “la città più vivibile del mondo”, di certo avrebbe avuto qualcosa da obiettare, al riguardo. Ma da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. E – d’altro canto – anche per noi è difficile credere che la splendida e tranquilla città di Todi sia stata un tempo teatro di tali atrocità. Ma è tutto vero.

I VERBALI DEL PROCESSO – I verbali del processo di Matteuccia Di Francesco sono arrivati fino a noi. Oggi sono custoditi nella Biblioteca di Todi, e descrivono con dovizia di particolari i motivi per cui la donna venne condannata, e la sentenza eseguita. Nelle pagine, redatte e messe agli atti dal notaio incaricato, vengono elencati tutti i capi d’accusa pendenti sulla testa della donna. Si legge di come Matteuccia ricevesse visite da persone provenienti da ogni luogo dell’Umbria, per chiedere il suo aiuto in merito a pene d’amore o a problemi di salute. E sembra che la strega avesse per ognuno la soluzione giusta. Prescrivendo strani unguenti a base di erbe, singolari ricette gastronomiche, e formule magiche che alle nostre orecchie suonano non più temibili di innocenti filastrocche, pare riuscisse a porre rimedio ad ogni sorta di travaglio, sentimentale o fisico. Matteuccia si era fatta un bel giro di affari, ed i clienti soddisfatti ritornavano da lei per ulteriori indicazioni e prescrizioni. I rimedi descritti nella prima parte del processo appaiono del tutto innocui, anche se quantomeno curiosi. Ad una donna che veniva quotidianamente percossa e tradita dal marito, Matteuccia consigliò di conservare l’acqua che usava per lavarsi i piedi, per poi darla da bere al fedifrago insieme ad una pietanza a base di rondini condite con lo zucchero.
Ad un giovane innamorato che non otteneva il consenso di sposarsi, ordinò di stare in piedi in un crocevia con una candela accesa, e di piegarla recitando una formula magica mentre l’amata andava in sposa al contendente. In tal modo, il novello sposo non avrebbe mai potuto congiungersi alla moglie, il cui amore per l’altro sarebbe almeno rimasto inviolato.

“In Nome di Dio amen. Questa è la condanna corporale e la sentenza di condanna corporale data e ratificata, sentenziata e resa di pubblica ragione da Magnifico e potente Signore Lorenzo di Surdis romano, onorabile Capitano e Conservatore della pace della città di Todi e del suo distretto per la Santa Chiesa Romana e per il Santissimo Padre in Cristo e signor nostro Signore Martino per divina provvidenza papa V. Abbiamo formalmente proceduto contro Matteuccia di Francesco, del castello di Ripabianca del distretto di Todi, universalmente ritenuta riconosciuta secondo lo spirito degli Statuti del comune di Todi, come una donna di cattive abitudini di vita e di malaffare, pubblica incantatrice, fattucchiera, autrice di sortilegi, strega, contro la quale giovandosi di interrogatori ed informazioni abbiamo formalmente proceduto”.

Sono queste le parole con cui inizia il processo che, il 20 marzo 1428, condannò Matteuccia di Francesco di Ripabianca ad essere bruciata sul rogo con l’accusa di stregoneria. Il processo alla “strega” di Ripabianca è uno dei primi documentati in Umbria per il quale il “Tribunale dei malefici” pronunciò la sentenza di condanna capitale. Matteuccia veniva giudicata a Todi perché, in quel tempo, il paesino di Ripabianca apparteneva, come castello soggetto, al comune tuderte. La donna, secondo i giudici del tribunale, ispirata dal diavolo, avrebbe ripetutamente compiuto atti sacrileghi ed incantesimi su persone. Le suddette malefatte erano state compiute, secondo gli accusatori, dal 1426 fino al momento dell’arresto della donna e della sua condanna da parte del tribunale presieduto da Lorenzo de Surdis, capitano e conservatore della pace nella città di Todi per nomina della Santa Chiesa Romana.

Matteuccia non si limitava a preparare pozioni ed unguenti, ma prescriveva anche di recitare preghiere e di assumere acqua magica a tutti coloro che volevano riconquistare il proprio innamorato. Molti amanti si recavano da lei per ottenere l’erba “incantata” da far mangiare alle loro amate. “Unguento, unguento, mandame a la noce di Benivento supra acqua et supra ad vento et supra omne maletempo”.  Questa è la formula che la strega Matteuccia di Ripabianca usava per volare e che le costò la condanna a morte.

I RITI PIU’ MACABRI - Oggi, i rimedi di Matteuccia non verrebbero di certo giudicati così pericolosi. A parte l’ovvia riflessione che bere l’acqua in cui il nostro consorte ha fatto il pediluvio, o piazzarsi nel bel mezzo di un incrocio con tanto di candela accesa, non sarebbero azioni consigliabili. In entrambi i casi per motivi di incolumità personale. Ma allora venivano presi molto sul serio, e considerati indizi di connivenza col maligno, anche se le intenzioni di Matteuccia non sembrano poi così deprecabili. Nella seconda parte del processo però, vengono descritti riti di natura più macabra. Matteuccia avrebbe convinto un uomo alle dipendenze di Braccio da Montone, Signore di Perugia, a procurargli le carni di un annegato, per estrarne un olio che alleviasse i dolori di un malato. Sarebbe anche stata in grado di trasformarsi in un gatto, e di librarsi in aria in groppa ad un capro per raggiungere il famoso Noce di Benevento, qui per la prima volta indicato come il luogo prediletto dalle streghe per i loro convegni con il diavolo. Fra l’altro, viene riportata in forma integrale anche la formula magica per volare, di ovvio interesse per chi – motivato da velleità anticonformiste – avesse in qualche modo in progetto di innalzarsi. Le accuse si fanno ancora più gravi quando Matteuccia – che reca il dubbio onore di essere la prima donna definita strega – viene accusata dell’orrendo crimine di cibarsi del sangue dei bambini. Il sonno della ragione genera mostri.

Comunque, per tutti questi misfatti e per altri ancora – giunti all’attenzione della corte giudicante come voci di popolo, e ritenute più che sufficienti per imbandire in quattro e quattr’otto un bel processo per stregoneria – alla povera Matteuccia viene concessa l’opportunità di difendersi, e di scegliersi un legale che la assista. Cosa che Matteuccia non è in grado di fare. Scaduto il termine utile per la presentazione della difesa – la burocrazia imperversava anche allora – Matteuccia viene quindi condannata, e la condanna eseguita. Legata e montata a cavallo di un asino, viene condotta fino al luogo dell’esecuzione, e là arsa viva. D’altronde – pare giustificarsi il notaio alla fine del verbale – aveva spontaneamente confessato di essere colpevole di tutti i crimini attribuiteli. Se questo fosse vero, su una cosa di sicuro Matteuccia non aveva mentito: era capace di volare. Almeno con la fantasia.

Daniela Querci

fonte: Corriere dell’Umbria



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