Stress da lavoro

Da Psytornello @psytornello

Nella vita lavorativa quotidiana molti sperimentano piccole ingiustizie e scorrettezze. Per esempio può capitare di trovarsi con un capo che si comporta ingiustamente, svalutando il lavoro fatto il giorno prima o facendo confronti impropri con altri colleghi ritenuti più efficienti. Anche nelle interazioni personali si manifestano queste microscorrettezze: controllare la propria posta in arrivo durante una conversazione, sbagliare la pronuncia del nome del proprio interlocutore, interromperlo a metà del suo discorso, confondere una persona con un’altra della stessa etnia sono solo esempi di interazioni inadeguate, apparentemente di scarso rilievo. Così pure, a volte, durante una presentazione pubblica, capita che molti non prestino attenzione se parla un certo collega, guardino spesso l’orologio o consultino il loro smartphone. 

Se questi episodi accadono ripetutamente alle stesse persone, è assai probabile che, all’iniziale meraviglia o irritazione momentanea per condotte sentite come ingiuste o faziose, subentrino insoddisfazione e rammarico, preoccupazione per il rischio di essere mal valutati sul lavoro o di subire ingiusti ostacoli per la propria carriera. Il clima psicosociale peggiora ulteriormente se ci si rende conto che le inadeguatezze nelle relazioni interpersonali di lavoro si concentrano su alcune categorie di persone, come i neo assunti, le donne, gli immigrati appartenenti a una data cultura e religione minoritaria. In questi casi, resi più comuni per l’aumento delle diversità sociali all’interno dell’attuale popolazione lavorativa, gli strappi al corretto e imparziale funzionamento della vita organizzativa diventano anche indicatori di pregiudizi ancora sotterranei, ma forieri di effetti di discriminazione sociale nel corso del tempo. 

Queste microlesioni di un trasparente clima relazionale sono state spesso sottovalutate, considerandole quasi uno “scotto da pagare” nella vita lavorativa, alle cui pesantezze occorre adattarsi. In realtà, quando tali difficoltà comunicative risultano percepite come forme di mancanza di rispetto, sintomi di esclusione dalla comunità, svalutazioni della propria immagine di sé, del valore della propria presenza organizzativa e dei propri contributi personali, gli esiti a breve e medio termine appaiono assai incisivi. Esse infatti tendono ad innescare tensioni intra-personali e nell’ambito dei gruppi di lavoro che danneggiano gravemente il coinvolgimento personale, la produttività ed efficienza ed elevano il rischio di conseguenze negative per la salute lavorativa. Del resto, non è un caso che la periodica rilevazione dell’American Psychological Association, Stress in America, pubblicata nei primi mesi del 2012, abbia segnalato che tra le cause di stress nella popolazione americana, dopo le prime tre che riguardano fattori di natura economica (scarsità di denaro, carenza di lavoro e stato dell’economia), il rischio più grave per il benessere si riferisca alla qualità delle relazioni sociali, con un peso crescente rispetto alle indagini precedenti.

L’interesse degli psicologi per l’identificazione di stressor lavorativi legati alla vita lavorativa quotidiana (e meno evidenziabili rispetto a quelli classici dovuti ai processi e alla natura del lavoro svolto), risulta elevato. Si parla al riguardo di hassles, cioè di fastidi lavorativi, piccole ingiustizie e discriminazioni subite da parte dei capi, scortesie comunicative e dispetti da parte dei colleghi, microconflittualità e gossip, ostacoli frustranti nello svolgimento del lavoro quotidiano o nella sua valutazione da parte di altri, delusioni per il mancato rispetto di accordi, ecc. Essi in genere hanno una breve durata, tendono però a ripetersi nel tempo con alti e bassi e sono in grado di determinare risposte emotive negative (irritazione, tensione, rammarico, risentimenti, sfiducia, tristezza e insoddisfazione), che si diffondono anche nella vita estralavorativa. Si è osservato che la frequente esperienza di questi “microstressori”, in gran parte di natura relazionale, è correlata con la comparsa di sintomi psicofisici come affaticamento più rapido, cefalea, dolori muscolari, aumento della pressione sanguigna o con il peggioramento di condizioni di malessere psicofisico preesistenti. Come si determinano questi effetti? Seppure non vi siano indicazioni definitive, si sostiene che l’esigenza di adattamenti rapidi e continui a queste micropressioni esterne implichi costi connessi ai processi di attivazione psicofisiologica, con conseguenze di usura e rischi maggiori di strain (cioè di reazioni negative e di disagio). A ciò si aggiunge, da un lato, l’effetto di “accumulo irritativo” che fa percepire un successivo evento anche piccolo, come più stressante; dall’altro, l’interferenza nel conseguire gli scopi prefissati con il rischio sia di commettere errori, sia di accentuare insoddisfazione e irritazione per i mancati risultati.

Come muoversi per ridurre le difficoltà quotidiane? I passi più comuni sono: rendersi conto di ciò che può essere controllato e realisticamente migliorato (a livello individuale e di gruppo) con il consenso e il sostegno collettivo; portare alla luce le piccole scorrettezze relazionali e comunicative viste come fonte di rischio per tutti; chiedersi insieme agli altri il perché si verifichino; prestare attenzione ai dettagli delle interazioni comunicative nella prospettiva di ricostruire, a vantaggio di tutti, fiducia e rispetto reciproco.

E voi avete esperienza di ingiustizie sul vostro posto di lavoro? Volete raccontarle?

Articolo tratto da: Psicologia contemporanea - Luglio-Agosto 2013, n. 238 – Giunti.


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