brrrrr
Hunger games e Divergent. Premetto che non ho letto i libri, quindi il mio giudizio si basa sui film. Certo, certo, se uno dovesse giudicare Lo hobbit dai film di Peter Jackson lo manderebbe al macero senza passare dal via, quindi sia mai, voglio dare alle storie su carta il beneficio del dubbio, mai dire mai, per carità, ma ahimè la vita è breve ergo non leggerò né Hunger games né Divergent.
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Ecco, Divergent. Sorvoliamo sul tatuaggio a gabbiani/rondini/uccelletti generici, sul figone dal cuore d’oro con il tatuaggio super figo coi simboli di tutte le case/corporazioni/caste quello che sono… perché sarebbe un po’ come sparare sulla croce rossa, non è carino. Però ecco, come dire, a metà film si è presentato prepotentemente alla mia cinica immaginazione un titolo alternativo: “Alice nel paese della lobotomia“. Che poi la lobotomia è una cosa seria e non bisognerebbe scherzarci sopra, chiedo scusa, ecco, però però però. Ma insomma, che cosa voleva essere? Una specie di parodia di Sparta? Una critica alle caste? Un invito alla ribellione adolescenziale? … commento finale: bbah.
Senza secondi fini, eh, io le odio le teorie del complotto. Penso che sia una cosa innocente, indotta dalla famosa/famigerata industria culturale. Niente di premeditato. Però una volta la fantascienza ti scaraventava in un universo distopico e quando tornavi a camminare per le strade degli anni ’80 ti guardavi attorno con sospetto, se leggevi Philip Dick poi magari quando incontravi una pattuglia di polizia pensavi immediatamente a posti di blocco per arrestare studenti/dissidenti e simili.
La buona fantascienza ti mette in testa un filtro che poi ti porti dietro per tutta la vita, riaggiusta le tue categorie di pensiero, diventa parte di te. E’ come un vetro colorato, uno specchio deformante attraverso cui guardi fuori, ecco, dopo aver letto Philip Dick vedi tutto verde, per esempio (??? dai su, un po’ di immaginazione). Dopo aver visto Divergent e Hunger games… nno, niente grandi modificazioni alla mia percezione della realtà/società. Anzi, forse invece un filtro lo lasciano. Una specie di vetro zigrinato, come quelli che si mettono nelle finestre del cesso. Che se provi a guardarci attraverso sei un po’ un maniaco, ecco.
Questa retorica della rivoluzione, che la fanno i ragazzini che si ammazzano nei reality, o i ragazzini che i test scientifici della società classista hanno bollato come divergenti, secondo me questa retorica della rivoluzione young adult rischia di anestetizzare lo spirito critico, la capacità di ribellarsi davvero, di affinare la propria capacità di distinguere i diritti umani dalle opinioni più diffuse.