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Stryx Il Marchio della Strega Capitolo 2 - Preludio di una tempesta

Creato il 30 luglio 2012 da Connie
Quando finì anche l’ultima lezione, Sarah si preparò per tornare a casa. Chiuse l’armadietto dopo aver riposto i libri, abbottonò il giubbotto sopra la maglietta e infilò lo zaino al braccio destro.
In fin dei conti la giornata era trascorsa in modo piacevole, anche se era chiaro che Ivy O’Neil non era felice di avere nella sua classe una nuova ragazza, perlopiù inglese, ad alterare l’equilibrio che imponeva il controllo delle cheerleader su l’intera scuola.
E pensare che si era vestita nel modo meno appariscente possibile proprio per passare inosservata.
Sarah sapeva che le ragazze potevano essere molto più possessive dei ragazzi: lo aveva visto da come Ivy l’aveva spiata tutto il giorno, ciarlando sottovoce con le sue amiche. Ma poiché era tornata a Salem per cercare di condurre una vita normale, doveva accettare anche situazioni come quella; in fondo in ogni liceo le sarebbe potuta accadere una circostanza del genere.
Malgrado si sforzasse di sembrare una normale ragazza di diciassette anni, sapeva che quella notte avrebbe passeggiato da sola in giro per la città, con l’unica compagnia della propria gatta nera, contemplando sia le luci delle case di Salem che la spiaggia buia e deserta.
Era una delle cose a cui non avrebbe mai potuto rinunciare. Amava la notte più del giorno, già da prima di abbandonare le vestigia di semplice essere umano. Aveva conosciuto molte ragazze che evitavano di essere viste mentre camminavano di notte sotto la luna piena.
Nessuna teneva più in casa un gatto nero, da secoli. Adesso preferivano un serpente o un’iguana, animali secondo lei disgustosi.
Sarah era sempre stata un’amante dei classici e adorava la
sua Circe, poiché erano rimaste assieme fin da quando tutto era iniziato.
Aspettò nel corridoio, finché tutti gli studenti non uscirono dal parcheggio con auto, scooter e biciclette, evitando così che qualcun altro la fermasse per chiederle informazioni su chi era e da dove veniva.
Il sole stava tramontando e l’area di sosta rifletteva una luce viola. L’asfalto sembrava un lago bluastro e circolare, chiuso dagli edifici che sorgevano dalla parte opposta.
Sostò davanti alla porta d’ingresso, poi decise che era tempo di andare. Il sole era sparito e la scuola appariva deserta: dall’interno udiva i rumori dei bidelli che chiudevano a chiave le porte e gli armadi, i tipici suoni di un liceo quando nessuno è nelle aule.
L’ambiente era diventato piuttosto spettrale e silenzioso.
Sarah iniziò a camminare, attraversando lo spiazzale vuoto e osservando le strisce che indicavano il parcheggio riservato agli studenti.
Il crepuscolo lasciò posto al buio e i lampioni di Willson Street si accesero, dopo aver lampeggiato.
Udì dei passi alle sue spalle. Qualcuno la stava pedinando.
Sarah accelerò l’andatura e si ritrovò nella strada deserta.
D’un tratto si fermò e guardò dietro di sé. Non c’era nessuno.
Se è uno stupido scherzo per farmi spaventare, non è divertente.
Ricominciò a camminare velocemente, senza però mettersi a correre: sapeva che nel momento in cui l’avrebbe fatto, chiunque la seguiva l’avrebbe aggredita.
Imboccò una via secondaria. Troppo tardi si accorse che era scarsamente illuminata e che non c’era nessuna persona in giro. Cercò di ritornare sul viale principale, incalzando il passo.
Appena raggiunse l’altra parte della strada, una mano la tirò indietro e la sbatté contro un muro, facendole urtare con violenza la schiena.
Sarah sgranò gli occhi e lì, sotto la scarsa luce dei lampioni, vide chi era stato.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» le chiese Luke Sullivan.
Non era solo. Con lui c’erano altri due ragazzi alti e robusti che lei non aveva visto in nessuna delle lezioni alle quali aveva assistito quel giorno.
«No, grazie» rispose la ragazza e cercò di andare via.
«Non ho ancora finito.» Lui la trattenne, spingendola con una mano verso il muro.
Gli altri due ragazzi sghignazzarono e lei capì all’istante che adesso si trovava in un gran brutto pasticcio. Come aveva immaginato quella mattina a scuola, Luke era uno dei tanti bulli che si divertivano a tormentare le ragazze, soprattutto quelle che avevano osato rifiutarli.
Quella storia però poteva finire male, sia per lei che per lui.
«Che cosa vuoi?» gli domandò mentre la voce le tremava.
«Voglio solo spiegarti una cosa.» Luke le tolse la mano dalla spalla e le soffiò nell’orecchio mentre parlava. Il suo alito sapeva di birra mista all’inconfondibile odore di hashish. «So che sei nuova e per questa volta lascerò perdere, ma devi sapere che la scuola è nostra, quindi ogni nuovo studente deve fare esattamente ciò che gli viene ordinato. Noi siamo arrivati prima, capisci?»
Sarah sapeva dove sarebbe andato a parare e mormorò «Quindi fammi capire, il fatto che io oggi mi sia rifiutata di uscire con te, ti ha ferito nell’orgoglio? Sei scappato a piangere dai tuoi amichetti della squadra di basket?»
I due amici di Luke si misero a ridere e lui li incenerì con lo sguardo. Poi si rivolse alla ragazza storcendo le labbra. «Hai poco da fare la stronza. Lo sai che la maggior parte delle ragazze di questa scuola farebbe carte false per uscire con me?»
«E allora perché non vai da loro?» alzò le spalle lei. Infine annuì acida. «Già, è chiaro. Devi passarti tutte quelle passabili, comprese le nuove.»
«Vedo che hai capito.» Lui sorrise e con una mano le sfiorò la guancia mentre lei volgeva il viso dall’altra parte.
«Metti giù le mani!» Sarah lo colpì al braccio con un leggero schiaffo ma Luke riprese a sfiorarle il volto con le dita.
«Hai un pessimo carattere, sai?» lui sorrise ancora, leccandosi il labbro inferiore con la lingua. Più lei lo respingeva e più lui si esaltava, sembrava che ogni rifiuto lo stuzzicasse ancora di più. «A dir la verità, mi piaci più così di come ti mostri in classe. La sceneggiata della timidezza è solo una finta, vero? Scommetto che hai già…»
«Ti do un consiglio. Vattene, finché sei ancora in tempo.» Sarah lo interruppe prima che completasse quella frase e cercò di allontanarsi.
Luke la sbatté con ancora più brutalità contro il muro della casa e lei mugugnò di dolore. «È inutile che fai tanto la preziosa» bofonchiò seccato e le infilò le dita tra i capelli stringendo il pugno. I suoi occhi divennero duri e spietati, mostrando una rabbia precedentemente celata. «So bene che genere di ragazza sei in realtà. Le conosco quelle come te. Quindi stai zitta e smetti di darti tutte queste arie!»
Luke era veramente un imbecille e lei non poteva credere di essere finita da sola, a sera inoltrata, in una via deserta, circondata da tre bulli palestrati che avevano il cervello grande quanto una nocciolina.
Non era ancora passato il primo giorno di scuola e già si era messa nei guai. Guai grossi.
Gli altri due si avvicinarono e cercarono di bloccarle le braccia, poiché continuava a dimenarsi. Sarah liberò una mano, e assestò un sonoro ceffone alla guancia di Luke.
Lui si toccò il viso con una smorfia. «Puttana.» Le strinse i polsi e la spinse ancora contro il muro, cercando di bloccarle le gambe con le ginocchia.
Sarah trasalì spaventata e non riconobbe in Luke lo stesso ragazzo che le aveva parlato quella mattina: aveva pensato fosse soltanto uno dei tanti che ci provano con la nuova arrivata ma adesso capiva che era anche violento e prepotente, un tipo da evitare.
«Luke» mormorò Sarah a denti stretti. «Mi stai facendo arrabbiare.»
I tre ragazzi risero e la guardarono compiaciuti.
«Ma non mi dire» sussurrò lui. Avvicinò la bocca e cercò di baciarle il collo. «Che cosa vorresti fare? Noi siamo in tre, tu sei solo una ragazza.»
Un vento gelato soffiò tra le fronde degli alberi della casa alle loro spalle, le piante furono scosse da un vortice d’aria insolito, ma nessuno dei tre se ne accorse.
Sarah esitò. Non credeva fosse giusto, eppure doveva farlo, altrimenti chissà cosa le avrebbero fatto quei ragazzi.
Luke cercò di infilarle la mano nella scollatura della maglietta, ma lei reagì con un morso e gli stampò sulla carne i segni dei suoi denti.
Il ragazzo urlò di dolore, poi le diede uno schiaffo tanto violento da farle inclinare il capo. «Stupida stronza! Adesso ti spezzo le ossa!»
Sarah prese finalmente la sua decisione. Non avrebbe voluto ma non le lasciavano altra scelta. «E va bene, Luke» ribadì lei. «Io comunque ti avevo avvertito.»
Frazioni di secondo e gli occhi della ragazza scintillarono di una luce irreale e penetrante. Il tempo di un respiro profondo e le pupille svanirono, lasciando spazio unicamente alle iridi verdi. Il suo corpo tremò, come accadeva ogni volta in cui cercava dentro di sé il potere, finché le dita delle mani non le fremettero, impazienti di lasciare andare il flusso.
Il brivido intenso lungo la pelle l’avvertì che il suo potere si stava scatenando in maniera incontrollabile e ne temeva gli effetti eccessivamente violenti. Aveva ben presente le poche volte in cui, in passato, la sua parte sovrannaturale era prevalsa su quella umana. Se si fosse lasciata andare, quei ragazzi sarebbero morti. Si trattenne appena in tempo. Nonostante tutto, non voleva far loro del male.
L’incorporea bolla di calore prese forma, trattenuta dai suoi palmi, e Sarah la lanciò verso Luke e i suoi amici, facendo attenzione a non imprimerle troppa forza.
I corpi dei tre vennero trascinati in aria come spinti da un forte ciclone e caddero a terra, schiacciati da una forza invisibile.
«Non è che voi uomini vi siate evoluti poi così tanto in tre secoli» commentò Sarah mentre quelli la fissavano, spaesati e ancora sdraiati sulla strada.
Si alzarono e si guardarono sbigottiti; credendo d’essere semplicemente inciampati all’indietro, si lanciarono contro di lei con i pugni alzati.
Sarah alzò una mano mostrando il palmo e Luke, dibattendosi come un forsennato, fu sollevato in aria. Urlò dalla sorpresa e andò a sbattere contro il muro della casa di fronte, seguito dai suoi amici.
Precipitarono a peso morto, e rimasero a faccia in giù, incollati sull’asfalto, immobili e privi di sensi.
Sarah sospirò e abbassò la mano quando si rese conto che erano svenuti. Alla fine non era riuscita a vivere neppure un intero giorno da essere umano. La sua vera natura aveva avuto il sopravvento. La magia aveva vinto. «Fantastico. Adesso mi tocca lanciare l’incantesimo dell’oblio. Com’era la formula?…»
In quel momento si udì un lento applauso provenire da dietro una costruzione prima dell’incrocio.
Un grande corvo nero scese dal cielo gracchiando e si appollaiò sopra il ramo di un albero che sporgeva dal viale. Il suo sguardo era pungente e rifletteva la luce artificiale dei lampioni, emanando scintille gialle.
«Magnifique! Sono senza parole» disse una voce femminile. «Sei migliorata negli ultimi trecento anni, ma chère.»
Scuotendo il capo e continuando ad applaudire, da dietro il muro venne fuori una ragazza.
Al collo portava una collana uguale a quella di Sarah, con la sola differenza che la pietra del ciondolo, incastonata nella cornice ovale gotica, era un topazio.
I capelli lisci e dorati le incorniciavano il volto con accuratezza. I suoi occhi erano color giada, indossava un attillato maglioncino di cashmere verde e una minigonna scozzese a pieghe, calze grigie fino al ginocchio ed eleganti scarpe nere di vernice col tacco alto.
La sua carnagione era identica a quella di Sarah: bianchissima e luminosa, con poche lentiggini castane sopra il naso. Nonostante l’aspetto appariscente e il trucco curato, non dimostrava più di sedici anni. Il corvo si alzò in volo dal ramo dell’albero e le si posò sulla spalla.
«Che diavolo ci fai tu qui?» volle sapere Sarah con astio.
« È questo il modo di salutare?» La ragazza bionda sorrise e si avvicinò. La sua andatura era sicura e provocante, il suo corpo sciolto e flessuoso. «Perché non mi hai detto nulla, quando sei partita da Londra una settimana fa? Volevi farmi credere che qualcuno ti avesse uccisa? E poi, cosa più importante… Ma come ti sei vestita?»
Sarah guardò i larghi pantaloni verde militare e la semplice maglietta bianca di cotone sotto il giubbotto.
L’altra si mise a ridere, consapevole di averla già messa in imbarazzo. «Sei venuta qui per la solita storia del voler provare a vivere come una ragazza normale? Che fine ha fatto la tua scopa magica alla Harry Potter?»
«L’ho venduta su eBay, per cinque dollari» rispose Sarah con sarcasmo. Poi domandò in modo rude «Sei venuta con lui?»
«Già, non è che noi due abbiamo così tanta scelta, sorellina» la ragazza si passò una mano tra i lunghi capelli di seta, «dopo quello che ha combinato quel gran bastardo di nostro padre.»
«Non parlare di lui in quel modo, Susan» mormorò Sarah con un gemito d’angoscia. Girò il capo e fece finta di non prestarle attenzione.
«Perché? Hai già dimenticato che siamo qui solo per colpa sua?!» replicò con durezza sua sorella minore. La guardò negli occhi, mettendole il proprio viso davanti. «Certo, tu sei sempre stata così brava a dimenticare, a perdonare… Santa Sarah, modello di virtù, martire inglese e ancora vergine dopo più di trecento anni!»
«Cosa sei venuta a fare a Salem?» pretese ancora lei, non badando alle parole della ragazza.
«Che domande, a vivere con te, naturellement!»
«State preparando qualcosa? Tu e quel…» borbottò Sarah tenendosi la fronte accaldata. Le tempie le pulsarono e la testa cominciò a farle male. «Stamattina era davanti casa mia. Qualunque cosa sia, vi assicuro che questa volta non ve la farò passare liscia. Com’è successo a Londra.»
«Me lo auguro.» Susan annuì sorridendo e sistemò le pieghe della gonna scozzese. «Se la mia casta sorella non mi mette i bastoni fra le ruote, che gusto c’è? Ho visto che hai comprato quella graziosa casetta vittoriana. Scommetto che l’hai acquistata vendendo quel quadro che Monsieur Degas ti ha fatto quando era giovane. Ricordo ancora quella giornata al Louvre. E ancora non capisco come tu abbia potuto rifiutare un uomo come Edgar Degas: ricco, affascinante e di buon gusto. Quel ragazzo era pazzo di te.»
Sarah rimase in silenzio e abbassò lo sguardo.
«Quand’è che ti lascerai Arthur alle spalle?» Susan la fissò con occhi severi e impenetrabili questa volta.
«Non osare pronunciare quel nome, dopo tutto quello che hai fatto» urlò Sarah infuriata.
«Oh no, ce l’hai ancora con me per quella storia! Ma sono trascorsi secoli, a quei tempi Bach non era neppure un bambino brufoloso che alzava le sottane alle cameriere!»
Gli occhi di Sarah sembrarono inumidirsi. Un gemito le sfuggì dalle labbra, come se stesse sul punto di singhiozzare. «Non ti perdonerò mai.»
«Per quel che me ne importa! Adesso sono qui e questa volta non potrai fingere di ignorarmi, come hai sempre fatto.» Susan batté i tacchi sul terreno e si avviò. Poi si rivolse al corvo nero, poggiato sulla sua spalla destra: «Andiamo, Mefisto. Mamma deve rifare il guardaroba per il nuovo anno scolastico.»
Sarah sospirò e non seppe cos’altro dire. Adesso sapeva perché aveva sentito quell’odore di distruzione, non appena si era affacciata alla finestra quella mattina.
«Ci vediamo a lezione, sorellina!» alzò la mano Susan, mentre voltata di spalle camminava lungo la strada. «Ah, e ricorda di cancellare i ricordi di quei tre prima di andartene. Non vorrei che mi adocchiassero nei corridoi della scuola come la sorella della crudele strega dai capelli rossi. Ho già visto abbastanza roghi nella mia vita.»
Quella notte Sarah rimase a casa, malgrado Circe insistesse per andare a spasso, seguendola di stanza in stanza, e miagolando caparbia.
Non aveva nessuna voglia di uscire, adesso che sua sorella minore era a Salem. Si era illusa di poter vivere una vita normale ma ora non ci credeva più di tanto.
Susan era una fonte di problemi per chiunque le stesse accanto e nessuno meglio di lei che era sua sorella maggiore poteva saperlo. Se quel primo giorno di scuola era sembrato duro, ora era consapevole che il peggio dovesse ancora arrivare.
La presenza di sua sorella proprio in quella città, significava complicazioni, soprattutto per ogni essere di sesso maschile. E naturalmente, sarebbe toccato a Sarah tenerla d’occhio per evitare che tutto lo stato del Massachusetts saltasse in aria come una bomba a orologeria.
Aprì la finestra e lasciò che la gatta nera uscisse per le sue scorribande notturne dicendo «Anche se capisco che non puoi mancare alle tue romantiche avventure lussuriose, cerca di ritornare prima dell’alba.»
La gatta miagolò e sparì nel buio della notte, com’era solita fare quando la sua padrona non voleva seguirla.
«Almeno una di noi due ha una vita sessuale» sospirò lei.
Sarah si chiuse in bagno e aprì il rubinetto, facendo scorrere l’acqua bollente fino all’orlo della vasca. Come ogni volta prima di fare il bagno o la doccia, diede un’occhiata al tatuaggio dietro la sua spalla sinistra, la grande S gotica. Era un pensiero puerile, eppure lei sperava che un giorno si sarebbe svegliata e non avrebbe più trovato quel simbolo impresso sulla sua pelle.
Si era già fatta due nemici a scuola, quella smorfiosa di Ivy e quel prepotente di Luke. E sua sorella era venuta a cercarla da Londra: aveva capito al volo che Salem era l’unica città in cui lei avrebbe potuto rifugiarsi.
Susan era arrivata assieme a lui. A quel maledetto che non perdeva occasione di tormentarla.
L’essere diabolico che aveva rovinato la sua famiglia era a Salem e Sarah sapeva che non sarebbe passato molto tempo prima che l’uomo avesse rivelato ancora la sua presenza, come quella mattina.
Si immerse nell’acqua, agitò la mano destra e dalla vasca cominciarono a uscire bolle d’aria che le accarezzarono il corpo, facendola rilassare. Lei sprofondò e lasciò fuori solo il naso e gli occhi. Anche se non aveva una Jacuzzi, con la magia riusciva a riprodurre un perfetto idromassaggio per almeno venti minuti.
Il suo bagno durò tre quarti d’ora e quando uscì, si sentì accaldata e morbida, mentre i fumi dei sali evaporavano, riempiendo la stanza di delicato profumo alla camomilla.
Sarah indossò il pigiama di cotone a righe, si tuffò distrutta sul letto e chiuse gli occhi. Non aveva più una famiglia, non aveva più nessuno.
L’unico affetto che aveva in questo mondo, se affetto si poteva chiamare, era quel demonio scatenato di sua sorella Susan, capace solo di combinare guai.
Sentì una lacrima scenderle sulla guancia. Anche se credeva di aver esaurito da tempo tutte le sue lacrime, preferiva evitare di piangere: non sarebbe cambiato nulla lo stesso e il suo umore, già depresso, avrebbe continuato a peggiorare. Spostò il pigiama e fece finta di grattare via con le unghie il tatuaggio.
Sapeva che nulla avrebbe potuto cancellarlo.
Non avrò mai una vita normale. Non sarò mai una ragazza come le altre. Niente potrà cambiare quello che sono.
Come Hester Prynne, anche lei era stata marchiata da una lettera scarlatta, solo che la sua rappresentava un’infamia ancora più grande e pericolosa.
Stryx.
Il Marchio della Strega.

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