(foto: Carolina Biological/Visuals Unlimited/Corbis)
All’
Harvard Medical School, per studiare l
‘invecchiamento, usano una singolare macchina, ribattezzata la
Lifespan machine (qualcosa come la
Macchina della durata della vita). Si tratta, semplificando, di un grande e distribuito microscopio che osserva l’evoluzione di una grande popolazione di essere viventi, migliaia di vermi per l’esattezza, il famoso
Caenorhabditis elegans.
Questi piccoli
vermi, superstar della biologia, vengono fatti cresce su piastre, a loro volta poste su scanner che ne registrano i movimenti e quindi la vitalità. Cambiando le condizioni a diversi gruppi di piastre, è possibile osservare come si comportano di conseguenza i vermi. E questo è quello che hanno fatto i ricercatori della Harvard Medical School: in alcuni casi hanno alzato le temperature di crescita dei vermi, in altri li hanno sottoposti a stress ossidativo, in altri ancora a mutazioni genetiche in altre a modifiche della dieta, e così via. Lo scopo? Studiare in che modo i diversi fattori influenzassero la durata della vita dei
vermi, per capire qualcosa di più sul misterioso, scientificamente parlando, processo dell’
invecchiamento. E le scoperte non hanno disatteso un esperimento così particolare, come
raccontano i ricercatori guidati da Walter Fontana su
Nature.
Con la
Lifespan Machine gli scienziati hanno registrato quanto tempo i vermi impiegassero a morire in ogni condizione e hanno poi confrontato le curve di sopravvivenza, osservando che, malgrado le ovvie differenze (in alcuni casi i vermi morivano prima che in altri e più o meno velocemente) in realtà le curve per ogni variabile analizzata si somigliavano. Infatti, l’andamento (un grafico con in ascissa il tempo e in ordinata la frazione di vermi vivi) era simile, tanto che le singole curve potevano essere fatte
combaciare scalando l’asse dei tempi (in pratica stringendo o allargando la curva) per ogni condizione studiata. Cosa significa questo?
Secondo Fontana quanto osservato mostra che esiste una profonda interdipendenza nella fisiologia di un organismo, e che i cambiamenti apportati in un aspetto influenzano tutti gli altri che determinano la
durata complessiva della vita. Ovvero: ciascuna condizione influenza la durata della vita nello
stesso modo all’interno della stessa popolazione, sebbene alcune condizioni facciano morire i vermi prima o dopo.
Estrapolando i risultati quanto osservato suggerisce – come già in parte noto – che l’
invecchiamento non sia un fenomeno legato a un singolo processo molecolare, ma che coinvolga diversi aspetti legati tra loro in una rete complessa, per cui basta modificarne uno per avere effetti anche su tutta la rete stessa. Anche se come questo avvenga non è ancora chiaro.
The post
Studiare l’invecchiamento con una “macchina della vita” appeared first on Wired.