di Gerardo Lisco. In questi giorni mettendo a posto dei libri di qualche anno fa me ne è venuto uno tra le mani che merita di essere riletto e che, forse, più di tanti altri aiuta a capire i cambiamenti in corso nel sistema sociale ed economico occidentale. Il saggio in questione è “I limiti sociali allo sviluppo” scritto da Fred Hirsch pubblicato in Italia per la Bompiani nel 1981. L’idea che sta alla base del saggio è che i limiti allo sviluppo economico sono di ordine sociale. Alcuni dei beni prodotti nell’economia capitalista hanno la funzione di attribuire lo status sociale all’interno della gerarchia sociale. Pertanto una distribuzione più equa di una serie di beni fa si che lo status sociale attribuito da alcuni beni finisca con il venir meno. Come scrive Hirsch: "La scarsità sociale (…) esprime l’idea che le buone cose della vita sono limitate non solo da vincoli fisici che impediscono di produrne di più, ma anche da limiti di assorbimento per quanto riguarda il loro uso. Laddove il contesto sociale ha una limitata capacità di estenderne l’uso senza un deterioramento di qualità, il consumo subisce limiti sociali. Più precisamente, il limite viene imposto alle soddisfazioni che dipendono non dal prodotto o dal servizio presi in sé, ma delle condizioni d’uso circostanti".
I processi di democratizzazione che hanno portato a una reale redistribuzione della ricchezza prodotta, almeno nel mondo occidentale a partire dagli anni 60, nel senso di una maggiore eguaglianza, hanno determinato la svalutazione di taluni beni che attribuivano uno status sociale superiore all’interno di un determinato sistema sociale. Se adesso utilizziamo questo concetto rispetto al mercato del lavoro, all’istruzione, alla spesa pubblica e all’imposizione fiscale si evince in modo chiaro che le politiche liberali in corso nel mondo occidentale a partire, non dal 1981, anno di pubblicazione del saggio di Hirsch, ma dagli anni 70, possono essere lette nel senso di una restaurazione della gerarchia sociale incidendo sulla produzione e distribuzione di quei beni che attribuiscono a chi li possiede una posizione dominante nella gerarchia sociale.Adesso se proviamo a riflettere su quali sono i beni che più di altri definiscono lo status sociale di chi li possiede scopriamo che sono fondamentalmente due: studio e lavoro. La possibilità data a fasce sociali sempre più ampie di accedere a studi più completi e qualificanti ( ne sono un esempio la crescita del numero di diplomati e laureati nei Paesi OCSE) ha fatto si che il valore dello stesso titolo di studio si svalutasse e contestualmente le stesse posizioni lavorative di vertice finissero con il perdere il valore originario. Il valore al quale mi riferisco non è un valore economico, retributivo ma appunto di status sociale. Infatti, se il valore fosse legato alla retribuzione una persona che svolge un lavoro non qualificato, dal momento che la maggior parte sono qualificati, dovrebbe avere una retribuzione di gran lunga più alta e invece così non è come dimostrano le analisi statistiche sulle retribuzioni. Nel sistema liberale ed oligarchico che si sta via via consolidando anche in Italia veniamo bombardati quotidianamente da messaggi che tendono a svalutare l’istruzione pubblica a favore di quella privata. Le motivazioni addotte sono molteplici ma la mia impressione è che esse, dietro l’ideologia del merito, della selezione, ecc, nascondano solo la salvaguardia dei ceti sociali egemoni rispetto a quelli subalterni. Non si può tutto d’un tratto sopprimere la formazione pubblica, si può solo operare per dequalificarla. In parallelo alla formazione si opera sul mercato del lavoro. Si può affermare che le due cose vanno di pari passo. Alla svalutazione della formazione pubblica si accompagna la svalutazione del lavoro al quale con essa si può accedere. Detto diversamente: a una formazione fornita da istituzioni private corrisponde un lavoro a tempo indeterminato e ben retribuito; a una formazione pubblica corrisponderà un lavoro a tempo indeterminato, precario e scarsamente retribuito.Le politiche attuate in questi ultimi decenni hanno come unica funzione quella di tornare a favorire la concentrazione della ricchezza in poche mani, la restaurazione della gerarchia sociale e la difesa dello status sociale dei ricchi che si sono sentiti minacciati dalla democratizzazione della ricchezza prodotta. Quindi idee come merito, competitività flessibilità, ecc, ecc, hanno come unico scopo quello di giustificare l’egemonia di quella minoranza che Occupy Wall Street identifica nell’1% degli statunitensi rispetto al restante 99%.