C'è una cosa che ho spesso preso di mira nel Pd: chiamiamolo "male di realtà".
Ne ho parlato spesso, si tratta della disconnessione con quel che succede intorno al partito - la realtà, appunto. Su certe cose si è basata l'infelice scelta di portare il Pd verso posizioni più di sinistra, più socialiste, senza accorgersi che intorno tutti cercavano tutto, fuorché il socialismo. L'ho chiamata confirmation bias, come la malattia psico-sociale che indica la tendenza a rimanere legati ad un’idea che ci siamo fatti sulla base di informazioni preliminari, anche quando evidenze successive contraddicono quell’idea iniziale.
Sintomo del mal di realtà, è la scelta di Bersani come candidato premier e prima ancora leader. Uno che leader non è, uno che tutto ha meno che la capacità di guidare e prendere al guinzaglio quella bestia a tre teste - e magari fossero solo tre - che è il Pd.
Uno che oltretutto era perdente in partenza: in elezioni - quelle del 25 febbraio - dove si sono confrontati candidati deboli. Tutti, a cominciare dal nostro.
Bastava poco di più per vincere e governare in santa pace - per il bene di tutti. E invece, sempre per un altro sintomo di quel male, si è scelto di nascondersi dalla realtà. Far finta che si era usciti vincitori dalle urne - sì, via, lo eravamo, ma per vezzo! - e pretendere di tenere dalla parte del manico, un coltello spuntato.
Perché poi, comunque, nemmeno si aveva intenzione di combattere: né di sciabola, né di fioretto: figuriamoci con un coltellaccio. Allora si è vagato, perdendo tutto il tempo possibile, per cercare un'alleanza che non ci sarebbe mai stata. Fino all'inesorabile giudizio - della realtà, di nuovo - della "vicenda Quirinale".
Si poteva - magari con gran coraggio, che chi non ce l'ha non se lo può dare, come dice il poeta - scegliere di scegliere il proprio destino: andare da soli, con Sel, in pasto al Parlamento. Su proposte forti e concrete: roba innegabile ed imprescindibile. Cose su cui era difficile non trovare una convergenza anche formale, vincolate ad una scadenza temporale. Poi di nuovo alle elezioni, ché s'è pareggiato di poco.
E invece no: si è scelto di fare l'alleanza col nemico - e non giriamoci intorno, quello è. Si è scelto di responsabilità, abbiamo detto. E sia. Ci possiamo anche stare, sempre che non sia un vizio. Anche qui, se non la definiamo una sconfitta, io francamente non saprei come chiamarla, comunque.
La realtà, di nuovo, dei Grillo e degli indignati da divano, tutto voleva meno che questo specie di "inciucio" - come tutti sono corsi a chiamarlo - ma va bene lo stesso. Certe volte, certe non sempre, bisogna essere un po' pazzi e fregarsene della realtà: non è che sia questo il caso, non granché. Non si è buttato il cuore oltre l'ostacolo: s'è presa l'aspirinetta.
Comunque, le cose sono andate avanti, il tempo non aspetta, ed eccoci qua. A governare di comune accordo su problemi di tutti - e qui potrebbe anche funzionare la questione - e su limiti di ciascuno. Qualche incontinenza c'è stata, per esempio il caso di Palma e di Santanché per non parlare dell'Imu che ancora non si sa qual è la nostra posizione definitiva.
Ma si va avanti: a vista, adesso più che mai. Perché lo squalo con cui ci siamo alleati è stato ferito - anche lui dalla realtà, realtà che nel suo caso si chiama "leggi".
Ma lo squalo ferito, sente odore del sangue oltre al suo. L'emorragia politica del Pd è forte, da tempo. Troppo per non attirare il predatore. E allora che fare?
Cominciando dallo smettere di discutere delle menate congressuali, e magari cominciando a leggere quella realtà che costituisce la vita dei cittadini di questo paese, con le paure, le incertezze, gli squilibri.
E leggerla quella realtà, significa capirla, analizzarla, ascoltarla.
Prepararci.
Non raccontarcela per come vorremmo che fosse: per esempio, non diciamoci che siamo pronti per nuove elezioni, caro segretario. Perché sennò ci risiamo, con i sintomi di quel male. E poi, come lo curiamo?
Di questo più o meno, ho scritto su Lepolda di Europa.
- Siamo davvero pronti al voto?