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Su Gaza e sull’illusione di battere la guerriglia con gli eserciti

Creato il 04 agosto 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
800px-Che_Guevara_in_Gazadi Michele Marsonet. I tragici avvenimenti di Gaza rappresentano, a mio avviso, l’ennesimo capitolo di un’illusione che alletta da parecchi decenni politici e strateghi militari in tutti i Paesi del mondo.
Tale illusione consiste nel credere che grandi eserciti, possibilmente ben equipaggiati e addestrati, siano in grado di battere formazioni irregolari le quali, pur dotate di mezzi inferiori, godono di maggiore mobilità e – spesso – dell’appoggio della popolazione locale.

Gli esempi in tal senso si sprecano, e mi limito dunque a citare quelli più significativi. La Francia, al tramonto della sua potenza coloniale, impiegò grandi mezzi per domare prima la rivolta nell’Indocina e poi quella in Algeria.

Nonostante il dispiegamento di un considerevole apparato militare, i francesi non furono in grado di domare la guerriglia dei Vietminh, che lasciava loro i grandi centri abitati dominando le campagne. E’ pur vero che la sconfitta definitiva giunse con la battaglia campale di Dien Bien Phu, vinta dal generale Giap. Ma le basi furono poste ben prima, grazie all’attività costante di guerriglia che impediva ai francesi di individuare con certezza il nemico.

Quanto all’Algeria, il celebre film “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo ci ha offerto un quadro molto preciso degli avvenimenti. Combattuta quando nel mondo arabo il nazionalismo ancora oscurava il radicalismo islamico, quella algerina fu a tutti gli effetti una “guerra di popolo”, nella quale gli indipendentisti riuscirono a rimediare alla maggiore potenza francese grazie al fatto che i combattenti venivano aiutati e nascosti dagli stessi abitanti.

Poi venne il turno degli USA in Vietnam. Immemori del precedente fallimento della Francia, gli americani sottovalutarono la capacità di resistenza della guerriglia Vietcong (erede del movimento Vietminh) e utilizzarono un’immane quantità di uomini e mezzi sicuri di vincere anche grazie al dominio dei cieli. Non ci fu, come tutti sanno, nulla fare. Pur in assenza di una battaglia campale decisiva come Dien Bien Phu, gli USA furono costretti a ritirarsi abbandonando i loro alleati di Saigon.

Il discorso non coinvolge però le sole potenze occidentali. Anche l’Unione Sovietica cercò, alcuni sostengono come prevenzione nei confronti dell’incipiente radicalismo islamico, di aver ragione della guerriglia afghana schierando l’Armata Rossa. I risultati non furono certo migliori di quelli ottenuti dagli americani in Vietnam. Tutti ricordano la mesta ritirata delle colonne di tank russi entro i vecchi confini sovietici.

Da allora gli eventi hanno assunto un ritmo sempre più celere. In Iraq e, successivamente ancora in Afghanistan, le truppe degli USA e dei loro alleati non sono riusciti, nonostante alcuni successi iniziali, ad aver ragione dei guerriglieri islamici. Fu facile sconfiggere l’esercito di Saddam Hussein, impossibile invece la vittoria contro formazioni irregolari che hanno una perfetta conoscenza del terreno.

La situazione a Gaza non è del tutto dissimile, anche se in questo caso Israele si gioca – almeno a mio parere – la sua stessa esistenza. Credo però che sia difficile, per l’esercito israeliano, eliminare ogni rampa di lancio dei missili di Hamas e bloccare tutti i tunnel che consentono ai suoi militanti di attuare attentati nello stesso territorio dello Stato ebraico.

E’ piuttosto strano che i politici e gli strateghi militari menzionati all’inizio non abbiano ancora imparato la lezione che deriva dalla storia recente, e cioè che un movimento di guerriglia non si sconfigge con l’esercito regolare, per quanto armato e addestrato esso sia.

Featured image, Che Guevara visita Gaza nel 1959

 


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