di Michele Marsonet. Il metodo scientifico – scrisse Karl Raimund Popper in molte sue opere – consiste nella formulazione di “ipotesi” esplicative che vengono continuamente e senza fine sottoposte a prova sperimentale, e che possono essere eliminate su tale base; la formulazione delle ipotesi e la loro (eventuale) eliminazione possono anche venir caratterizzate come momenti di tesi e di antitesi tra loro complementari. Tuttavia, nell’ambito di questo processo, non vi è né una produzione “necessaria” di sintesi, né la conservazione necessaria dei due momenti iniziali nel suo ambito (come invece sostiene la dialettica). Il metodo dialettico rappresenta pertanto sia un fraintendimento sia un’assolutizzazione del metodo scientifico.
La dialettica hegeliana poggia sul presupposto di una “ragione incorporata nella realtà”, e di una conseguente coincidenza fra la struttura dello sviluppo reale e la forma del ragionamento speculativo; la dialettica marxista, a sua volta, conserva il presupposto hegeliano, sulla base di un semplice “rovesciamento”. Nell’uno come nel’’altro caso, il metodo dialettico costituisce la via che consente di sfuggire alla prova dell’esperienza, prescindendo dal controllo negativo che essa fornisce per le teorie che sono state formulate.
L’analisi viene affinata in “Miseria dello storicismo”. In questo libro, diventato presto celebre, Popper prende posizione nel dibattito concernente il rapporto fra scienze storico-sociali e scienze naturali, e in particolare sulla tesi secondo la quale le discipline storico-sociali sono “arretrate” rispetto a quelle naturali, per cui sarebbe necessaria la trasposizione degli strumenti delle seconde entro le prime. Egli afferma che lo storicismo adotta sia (l) tesi anti-naturalistiche sia (2) tesi pro-naturalistiche.
In particolare, lo storicismo sostiene che è impossibile rintracciare nella vita sociale “uniformità” analoghe a quelle accertate nel mondo della natura: le uniformità sociali sarebbero valide soltanto nell’ambito di una particolare situazione storica, ed ogni avvenimento si presenterebbe quindi con caratteri di “unicità”. Da ciò deriva l’impossibilità di compiere esperimenti, nonché la difficoltà di fare previsioni attendibili all’interno delle scienze sociali. In questo settore, infatti, l’interrelazione tra osservatore e cosa osservata si configura in modo tale da rendere ineliminabile la presenza di valutazioni soggettive, il che limita in maniera decisiva l’oggettività di tali discipline. Affermando la storicità della vita sociale e del loro procedimento, si fa uso della categoria di “totalità” per qualificare la struttura dell’oggetto d’indagine che è loro (delle scienze storico-sociali) proprio: il popolo o l’epoca storica costituirebbe un “tutto” irriducibile alla somma delle parti. Per usare dei termini tipicamente storicisti, si tratta di una “essenza” che si realizza dinamicamente in un processo storico di sviluppo.
Ma d’altro canto, e questo costituisce il suo aspetto pro-naturalistico, lo storicismo sostiene il compito esplicativo delle scienze storico-sociali: esse sarebbero in grado di determinare le “leggi” dello sviluppo storico cui ricondurre la successione concreta degli avvenimenti, e in base alle quali formulare previsioni ad ampio raggio sulla storia futura. Le scienze sociali vengono dunque ridotte a elementi della conoscenza storica, intesa come conoscenza delle forze che determinano la vita sociale nel suo sviluppo inevitabilmente “deterministico”. Lo storicismo assume come termine di riferimento un modello di scienza naturale che non corrisponde ai caratteri reali del metodo scientifico. In ultima analisi, esso approda a una scienza dogmatizzata, alla quale viene attribuito un compito che potremmo definire “metafisico”.
Per Popper lo storicismo s’identifica con la credenza in leggi dello sviluppo storico di portata universale, siano esse lineari o di tipo ciclico, come per esempio quelle rinvenibili nei grandi sistemi di filosofia della storia elaborati da Hegel, Marx e Engels, Comte e Spengler. Ecco perché nella sua visione “lo storicismo è tutto un errore. Lo storicista vede la storia come una specie di corrente d’acqua, come un fiume che scende, e crede per questo di poter prevedere dove passerà l’acqua a partire da quel momento. Lo storicista pensa di essere molto intelligente, vede l’acqua scendere e pensa di poter anticipare il futuro. Questo atteggiamento è moralmente del tutto sbagliato. Si può studiare la storia quanto si vuole, ma quella del fiume rimane niente più che una metafora e non contiene alcuna realtà. Si può studiare quello che è stato, ma quello che è stato è finito e da adesso in avanti non siamo in condizione di anticipare un bel niente, non siamo in grado di seguire la corrente, dobbiamo semplicemente agire e cercare di rendere le cose migliori. Il momento presente è quello in cui la storia finisce e noi non siamo affatto in grado di poterlo prevedere seguendo la corrente”.
Il filosofo austriaco vede nei sistemi dianzi citati i fondamenti intellettuali delle ideologie totalitarie del secolo scorso, sia di sinistra che di destra. A suo avviso il corso della storia è influenzato in modo essenziale dalla crescita della conoscenza umana, mentre lo sviluppo della conoscenza stessa è in larga misura imprevedibile. Nessuna entità, quindi, è in grado di prevedere il futuro in modo scientifico, e ciò vale sia per gli scienziati sia per le macchine: se potessimo prevedere le scoperte del futuro, verrebbe annullata la stessa differenza tra futuro e presente. E’ importante rammentare che, se si parte da simili premesse, risulta impossibile costruire una “storia teorica” nello stesso modo in cui si può costruire una fisica teorica. Ma se entra in crisi l’idea di un futuro scientificamente prevedibile, allora entra parimenti in crisi l’esigenza – a essa correlata – di una società totalmente pianificata. Le azioni umane hanno sempre delle conseguenze impreviste, e l’idea della pianificazione totale si rivela così un mito e null’altro.
Rivendicare la razionalità di progetti illimitati che si propongono di modificare in modo totale la società significa presupporre un grado di conoscenza elevatissimo, che noi mai potremo possedere a causa dei nostri limiti naturali e cognitivi. Si noti, comunque, che una società libera non può imporre che tutti condividano gli stessi scopi, mentre un governo che si basi su un programma di tipo utopistico è costretto ad andare esattamente in quella direzione per mantenersi fedele ai propri obiettivi primari. Autoritarismo e utopia sono insomma abbinati sin dalle origini (e poco importa, ai fini pratici, che tale autoritarismo venga perseguito per ottenere il massimo della giustizia e della felicità).
Riedificare la società dalle fondamenta è inoltre un’impresa destinata a protrarsi nel tempo, ed è ipotizzabile che gli obiettivi iniziali subiscano delle modificazioni, anche profonde, nel corso degli anni. Se ciò è vero, significa che la società perfetta diverrà via via sempre più diversa anche per coloro che l’avevano inizialmente progettata. E una delle conseguenze più spiacevoli è che tutti coloro che in qualche modo si oppongono alla sua realizzazione vengono considerati alla stregua di persone che avversano il Bene Assoluto, e quindi perseguitati senza indulgenza.
Chi si propone di donare all’umanità la felicità definitiva non può lasciarsi deviare da considerazioni di carattere meramente umanitario: ciò sarebbe un segno di debolezza. Ma gli obiettivi ideali si rivelano ben presto irraggiungibili, ragion per cui si prolunga all’infinito il periodo in cui è necessario reprimere con spietatezza gli oppositori; e così intolleranza e autoritarismo si consolidano al di là delle buone intenzioni delle origini. Se si pensa che il mutamento sociale, nel corso della storia, non ha mai avuto arresti, la stessa idea di una società perfetta è priva di senso.
Un indirizzo politico è una “ipotesi” che può essere equiparata a quelle scientifiche: deve essere messa alla prova nella realtà e corretta alla luce dell’esperienza. L’indagine critica consente di scoprire gli errori nascosti e di innescare procedure di correzione, prima che essi possano causare troppi danni. La vigilanza critica, in queste condizioni, si può esercitare con successo mentre, se le autorità politiche impediscono che i propri indirizzi vengano sottoposti ad analisi critica sono condannate a commettere molti errori.
La vita è un processo in cui gli esseri animati sono senza posa impegnati a risolvere problemi, e una società sarà dunque aperta se reca dei contributi alla soluzione di detti problemi. Ma in che modo? Azzardando dei tentativi di soluzione, ai quali fa seguito la critica e l’eliminazione degli errori eventualmente commessi. Ecco quindi Popper auspicare forme di società che permettano di avanzare liberamente molte proposte, ognuna delle quali deve poi essere sottoposta al vaglio critico. E, a tale proposito, una società è destinata a conseguire maggiori successi sul piano materiale se possiede istituzioni libere piuttosto che ordinamenti autoritari.
“Noi – egli scrisse – dovremo sempre vivere in una società imperfetta. E ciò non solo perché anche le persone migliori sono assai imperfette; e neanche perché, come è naturale, facciamo spesso degli errori per il fatto di non saperne abbastanza. Ancor più importante di queste due ragioni è il fatto che esistono sempre insolubili conflitti di valori: ci sono molti problemi morali insolubili perché i principi morali possono entrare fra loro in conflitto. Non può esistere alcuna società umana senza conflitti: una siffatta società sarebbe una società non di amici ma di formiche. I conflitti di valori e di principi possono essere fecondi, e perfino essenziali, per una società aperta”.
Featured image, Sir Karl Popper, Prof. Cyril Höschl. K. Popper received the Honorary Doctor’s degree of Charles University in Prague (May 1994), source Wikipedia, Wikipedia source Prof. Cyril Höschl, author Arnošt Pasler