Su Siccu, dove vanno a morire le navi

Creato il 27 dicembre 2014 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

Il vecchio peschereccio azzurro beccheggia stancamente, ormeggiato nella banchina del porticciolo cagliaritano di Su Siccu. Sulla prua due grandi occhi di donna e un’aquila. Sulla fiancata mezzo arrugginita una scritta araba e un disegno, come un paradiso orientale perduto. Sul ponte qualche vecchia coperta sdrucita intrisa di sale.

Su Siccu: l’ultimo viaggio

Quella barca è a Su Siccu da un paio di mesi – spiega un pescatore snodando e riannodando le reti seduto su un peschereccio poco distante -: sapete – aggiunge alzando gli occhi al cielo plumbeo di fine anno – trasportava i sedici clandestini che a luglio dell’anno scorso sono stati ripescati a Capo Teulada dalla Guardia Costiera“.

Poi riabbassa lo sguardo e riprende a lavorare.

Il motore aveva tirato le cuoia, in quel luglio 2013, e i migranti, sedici clandestini nordafricani partiti probabilmente dall’Algeria nella speranza di una vita migliore, erano da tre giorni in balia delle onde.

Le vecchie coperte, il legno marcio, il ponte superiore che cade a pezzi, testimoniano quanto sia stato drammatico quell’ultimo viaggio.

La cronaca locale racconta che il 10 luglio 2013 il barcone azzurro era stato avvistato da alcuni pescatori sulcitani che avevano dato l’allarme avvisando la Capitaneria di Porto. I migranti, assetati, affamati e disidratati, erano stati raccolti a tredici miglia al largo di Capo Teulada da una motovedetta della Guardia Costiera che li aveva accolti, soccorsi, sfamati e abbeverati. Dodici erano stati trasportati subito al centro di prima accoglienza di Elmas, quattro, quelli in condizioni più precarie, all’ospedale Sirai di Carbonia.

Poi di quei migranti si son perse le tracce. Forse alcuni hanno continuato il loro viaggio e hanno lasciato l’Italia. Magari alcuni di loro sono rimasti in Sardegna per provare a ricostruirsi la vita. Ognuno – per quanto possibile – ha forse provato ad inseguire il suo paradiso, come quello disegnato su quel vecchio barcone.

Tutti sono diventati numeri. Numeri senza volto che alimentano la battaglia ideologica con cui viene trattata la questione dell’immigrazione in Italia e in Europa. Come se ogni vita non fosse sempre una storia a se stante.

Dei migranti che hanno affrontato il mare per arrivare in Sardegna non c’è più alcuna traccia. Solo il loro barcone azzurro, mezzo arrugginito, è rimasto a morire a Su Siccu. Nel cimitero delle navi dove, chissà perché, vanno sempre a morire le barche che hanno la sorte di morire a Cagliari. Gli occhi di donna puntati verso la nostra città, tappa finale di quell’ultimo viaggio. Le coperte ancora stese sul ponte, intrise di sale e disperazione.

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