Su, su che è quasi fatta

Creato il 27 luglio 2014 da Unarosaverde

Verona mi vuole bene. Venerdi, giusto il tempo per godersi Il Bugiardo, di Goldoni, messo in scena dalla compagnia stabile della città, si è asciugato il cielo e ha strizzato le nuvole altrove. All’una di notte, sulla via del ritorno, la tregua era già terminata, ma ormai quel che dovevo fare l’avevo fatto. Ho riso, ho ricordato, ho riflettuto, sono state proiettata in un luogo altro: tutta roba che a teatro capita, per fortuna. In questi due giorni ho terminato un lavoro di sistemazione tra carabattole e vecchi quaderni di scuola intrisi di morale e cattolicesimo e buone intenzioni che da bambini bevevamo insieme al latte. Certe mi sono rimaste appiccicate in modo indelebile, come la cicatrice di Harry Potter. Altre, per fortuna, le ho perse per strada. Non so voi, ma tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, qui, nelle valli lombarde, eravamo ancora impegnati ad essere tutti bravi bambini.

Niente di male, in questo, non fosse che ti resta addosso una sorta di patina noiosa e saccente, se brava bambina lo eri abbastanza, in grado medio-alto, direi e solo non riuscivi a piegarti fino in fondo a chi ti voleva ordinata. Adesso sono molto meno brava bambina: a fatica, a molta fatica, qualche no ho imparato a dirlo, il mio egoismo di fondo me lo tengo ben stretto e oso anche essere anticonformista, sotto la mia armatura da brava borghese. Però sono diventata ordinata, metodica, in modo quasi esagerato: le dita lunghe delle note sotto i temi e i conticini mi hanno raggiunto e piegato nel profondo. Oppure è stata l’esposizione al minimalismo, chissà. Adesso mi sento a posto solo se la scrivania dell’ufficio è sgombra, portatile e portapenne a parte; la stampante la collego solo raramente e i quattro cassetti sono ordinati. La sera, prima di andare via, dispongo le seggioline intorno al tavolo in modo che siano tra loro simmetriche e alla stessa distanza dalle gambe. Poi chiudo le luci e una voce dentro di me sussura ironica: “Idiota”. Nel mio nuovo lavoro non dovrò cedere di un millimetro al disordine, anzi, dovrei propagare questo ordine in altri uffici, in altri reparti e combattere contro montagne di oggetti abbandonati da anni nel primo angolo libero, impolverati, inutili. Ingombranti. Non so mica se ce la faccio.

Me lo chiederò ancora per tutta la prossima settimana, forse anche per un paio di giorni di quella successiva (nel senso che l’azienda è chiusa, forse qualcuno lavora e vorrei andarci pure io perchè sto sottozero con le ferie e la cosa mi fa sentire prigioniera) e poi per una ventina di giorni non me lo chiederò più perchè sarò in vacanza. Ho tre programmi: rivedere alcuni amici – cosa che comporta qualche ora di auto o di treno e qualche altra di ciacolate -, trascorrere qualche giorno a casa a fare ordine (in una versione meno esasperata della faccenda delle sedie), passare una quindicina di giorni al mare a leggere, scrivere, non fare di conto, mangiare pesce, gironzolare nell’entroterra marchigiano e accumulare l’energia necessaria per affrontare il rientro.

Vorrei una bolla di spensieratezza nella quale non essere raggiunta dalle miserie del mondo, per far finta che per un po’ non esistano, e tornare in luoghi altri, come venerdi sera, al Teatro Romano di Verona, per vivere vite non mie attraverso le parole di altri.

E mentre aspetto, per questi ultimi giorni, voi continuate a leggermi, vi iscrivete a questo blog tranquillo e chiuso in un suo angolo tra le prealpi, i reparti produttivi e le evasioni turistiche e letterarie – grazie mille!- e magari siete già al mare, o ancora al lavoro, o sul terrazzo di casa a guardare la pioggia che cade, di luglio, e a uccidere zanzare.


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