Opera prima del controverso regista canadese Karim Hussain, Subconscious Cruelty è una pellicola cult della cinematografia underground, in quanto considerato, a torto o a ragione, uno dei film più estremi e blasfemi mai realizzati.
Che le cose stiano o meno così è un giudizio che lascio allo spettatore, ma rimane il fatto che questa pellicola sia stata strutturalmente concepita attorno a toni filosofico-intelletuali abbastanza atipici, per i canoni del genere horror nel quale è solitamente ascritta.
Trattasi in sostanza di una personalissima analisi delle caratteristiche cerebrali umane, soprattutto delle differenze fra emisfero sinistro e destro. Perciò quello che a primo acchito si potrebbe scambiare per un delirio senza alcun filo logico, è in realtà un libero excursus a base di blasfemia religiosa, sangue, cannibalismo, sesso e panteismo, il tutto scandito in quattro capitoli/episodi, autonomi ma concettualmente interrelati.
L’incipit, Ovarian eyeball, rappresenta proprio ciò che lascia pensare il titolo, ovvero un bulbo oculare al posto di un’ovaia, estratto a forza di bisturi da un corpo di donna, a rappresentare il mistero della fertilità e del concepimento umano.
Il seguito, Human larvae, è la sezione più corposa, e mostra la spirale discendente di un uomo, afflitto da psicosi e probabili deliri ossessivo-compulsivi, riguardo il binomio piacere/dolore, vita/morte, seguendolo in vaneggianti monologhi pseudo-nichilisti, estasi masturbatorie e fantasie sessuali, poi portate (Simbolicamente? Realmente?) in atto con la sorella.
La terza parte, Rebirth, è forse la più concettuale e atipica, nella rappresentazione di uno scenario panteista e pagano, nel quale alcuni giovani nudi si accoppiano sessualmente con la natura circostante, in una metamorfosi panica, facendo sgorgare sangue dalla terra, dai rami degli alberi, come in un doloroso tentativo di ritorno nel grembo materno originario, il ventre stesso della Terra.Ma è forse grazie al violento e feroce capitolo conclusivo che Subconscious Cruelty deve la sua ambigua fama, con tanto di boicottaggi e censure. Right brain/Martyrdom inizia mostrando la banale e piatta vita di un white collar come tanti, che la sera, dopo il lavoro, nella solitudine della sua casa, si masturba davanti a un film hardcore. In seguito, nel sonno, si presenta a lui un suo doppelganger, che, come un cenobita barkeriano, lo introduce a un sogno metaforico, sotto forma di tortura, nel quale infine un trio di donne nude trascinano un giovane raffigurato come Cristo ai piedi di una croce, per poi farlo letteralmente a pezzi, come delle Baccanti.
Difficile dare una spiegazione unica e unitaria a un tale profluvio di immagini, simboli e allegorie, se non che Hussain abbia voluto rendere visibili e tangibili pensieri e pulsioni, fantasie e perversioni, per tentare di rappresentare il funzionamento e il contenuto di un ipotetico emisfero destro. Forse il suo, forse quello collettivo, proprio della società nella quale noi tutti viviamo.
Mutuando alcune caratteristiche espressive dallo stile filmico tipico di Andrej Tarkovskij, Elias Merhige, Lynch e Cronenberg, Hussain perviene a un buon risultato in termini registici, grazie a validi effetti speciali, una fotografia interessante e una manciata di attori abili a soddisfare le richieste abbastanza impegnative del regista.Tenendo presente che si tratta di un debutto indipendente e realizzato nella massima economia, tanto più in un periodo (fine anni ‘90) alquanto refrattario a un certo tipo di horror (extreme, weird), Subconscious Cruelty rimane, anche a distanza di anni, un’opera fuori dai canoni e fuori dai limiti, dimostrando dunque una significatività storica e una longevità cinematografica non di poco conto.
Un titolo da vera cineteca estrema, una visione che non può mancare nell’esperienza di ogni extreme addicted che si rispetti.