Una delle caratteristiche principali delle fiabe è perciò presentare personaggi quotidiani in cui il lettore può identificarsi facilmente. Il lettore di fiabe avverte che potrebbe accadere anche a lui di essere oggetto d’invidia da parte di un fratello o doversi districare in una situazione difficile. Anche in The Lord of the Rings alcuni (non tutti) dei personaggi hanno appunto questa caratteristica di essere eroi quotidiani.
I piccoli hobbits sono goffi e maldestri, non sono abituati come gli eroi del mito ai grandi avvenimenti. Merry e Pippin all’inizio del racconto non sono che giovani hobbits spensierati, di buon cuore e generosi, ma che devono ancora mettere alla prova il loro coraggio e la loro resistenza. Alla fine essi saranno cresciuti di statura sia in senso fisico (grazie all’acqua degli Ents) sia in senso morale. Le sofferenze li avranno maturati nel giro di un anno, facendo di loro hobbits adatti ad assumere il comando della Contea. Essi più degli altri otterranno successi personali e ricompense nel finale della storia. Anche Aragorn alla fine sale al trono e ottiene la mano della fanciulla elfica che gli era stata promessa solo a patto che riconquistasse il regno che gli spettava di diritto. Per quanto riguarda lo stile, Tolkien usa alcune tecniche comuni alla fiaba popolare. Come afferma Marion Perret
“Tolkien prefers to suggest rather than spell out: he invites his reader to participate in the imaginative act of subcreation by his use of representative actions as well as by his use of generalized language”
Così come nelle fiabe si preferisce dire “si mise a sedere e pianse”, piuttosto che dare una dettagliata descrizione dello stato d’animo disperato di colui che soffre, qualche volta Tolkien opta per il suggerimento e il simbolo piuttosto che la descrizione esplicita. In certi momenti salienti esegue un primo piano di un gesto o di un elemento.
“The close up technique permits him to substitute a significant detail for an elaboration of an emotional state; repetition of that significant detail abbreviates even more.”
Così tutte le volte che Frodo porta la mano all’anello, il lettore capisce che egli è in preda ad una violenta tentazione; oppure ogni volta che Sam sorregge il padrone, il suo gesto simboleggia affetto, dedizione, fedeltà, senza perdere di concretezza e plasticità narrativa. Il lettore deve partecipare con la consapevolezza di ciò che il gesto ha significato in precedenza.
Spesso nelle fiabe molto di quanto viene narrato è dato per scontato. Quando si afferma che il protagonista incontrò “la vecchina dell’aceto” e non “una vecchina”, usando l’articolo determinativo, ciò presuppone che il lettore/ascoltatore della fiaba sappia a priori dell’esistenza di una vecchina specifica dell’aceto. È una tecnica che serve a dare profondità alla narrazione e l’idea di qualcosa al di là del mero ritaglio di eventi di cui veniamo a conoscenza. Abbiamo l’impressione dell’esistenza di un regno fatato in cui le vecchine dell’aceto sono naturali e comunissime.
Tolkien afferma di apprezzare le fiabe dei Grimm proprio per “quel senso di antichità e profondità” che vi riscontra. Egli usa la stessa tecnica. Il senso di profondità gli interessa molto di più che al novellatore, dal momento che si è posto come scopo principale proprio la creazione di un “mondo secondario.” Nonostante le appendici spieghino tutto ciò che c’è da sapere sulla Terra di Mezzo, sono state inserite nell’opera soltanto nel 1966. Ed inoltre si tratta appunto di appendici, che un lettore normale di solito legge al termine del libro. Perciò, quando i primi elfi sono introdotti mentre cantano “Ghiltoniel! Oh Elbereth!”, senza una previa lettura del Silmarillion e senza una conoscenza delle lingue elfiche, il lettore medio non può sapere che essi stanno intonando un inno religioso in onore di Varda, la suprema fra i Valar, regina delle stelle, e che Elbereth è uno dei nomi che gli Elfi le danno in Sindarin.
Il lettore piomba, fin dal primo capitolo, in un mondo che esisteva già prima che egli aprisse il libro, profondo, variegato e complicatissimo. Gli eventi narrati in The Lord of the Rings hanno una datazione precisa e si svolgono in un mondo coerente che è rappresentato con minuzia fin nei più piccoli particolari. Essi si riferiscono - ce lo conferma Tolkien stesso - ad un’epoca passata della nostra terra. Tuttavia non ci viene detto quanto tempo sia trascorso da allora né dove si trovasse esattamente la Terra di Mezzo.
“Those days, the third age of Middle Earth, are now long past, and the shape of all lands has been changed but the regions in which hobbits then lived were doubtless the same as those in which they still linger; the north west of the old world, east of the sea.”
continua…