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di Stefano Sollima (Italia, 2015)
con Claudio Amendola, Pierfrancesco Favino, Alessandro Borghi, Elio Germano, Giulia Elettra Gorietti, Greta Scarano, Antonello Fassari
durata: 130 minuti
★★★☆☆
E' il film italiano più atteso della stagione, nonchè il più distribuito (ben 430 sale, numeri da blockbuster hollywoodiano) e, si spera, il titolo che potrebbe rilanciare quella famosa "cinematografia di genere" che in Italia non ha mai attecchito davvero. Anche se in realtà, a ben vedere, è difficile etichettare Suburra in un determinato genere, perchè il film di Stefano Sollima vola (o vorrebbe volare) altissimo, spaziando tra il polar francese, il poliziottesco all'italiana, il film d'inchiesta, il pamphlet politico...
Sarà il botteghino a dirci, numeri alla mano, se Suburra saprà rinverdire quella tradizione di cinema "popolare" e militante che andava di moda in particolare negli anni '70: era un momento difficile per il nostro paese, stretto nella morsa del terrorismo e della criminalità organizzata, e le sale cinematografiche pullulavano di pellicole action che riflettevano sugli schermi le paure del momento. Circa quarant'anni dopo la paura ha lasciato il posto al malaffare, e adesso le magagne italiane si chiamano tangenti, corruzione, degrado, perdita di valori e moralità... Suburra però non intende limitarsi a trasporre in immagini il marcio che racconta, ma ambisce a qualcosa di molto più grande e importante: indagare sulle origini del male mettendo in scena la storia recente della Città Eterna, ovviamente presa ad emblema della nazione intera.
Il risultato, è bene dirlo subito, è un film potente ed evocativo, ma riuscito a metà: tanto affascinante, efficace, adrenalinico nella forma, quanto piuttosto scontato e perfino un po' ingenuo nell'analisi socio-politica. Suburra è straordinario per confezione e cifra stilistica, e Sollima è un maestro nelle scene d'azione e nel rappresentare la violenza urbana in tutte le sue forme (la sequenza della sparatoria dentro il centro commerciale e la conseguente fuga in strada sono da manuale di cinema action, senza nulla invidiare agli standard americani). Per non parlare poi della colonna sonora, composta quasi per intero di musiche elettroniche ed ossessive, opprimenti, cupe, che unite alle scenografie plumbee e quella pioggia battente per quasi tutto il film (che fa tanto Blade Runner...) restituisce allo spettatore l'istantanea di una città putrida e fuori controllo, l'esatto opposto della Grande Bellezza sorrentiniana: sono sicuro che l'immagine di Pierfrancesco Favino che si mette a pisciare dal balcone affacciato su Piazza del Popolo diventerà il simbolo di questo film...
Peccato però che tutta questa magniloquenza scenica vada a scontrarsi con un soggetto e uno script che, al netto della parte strettamente noir (peraltro ottima), naufragano in maniera piuttosto fragorosa al momento di mettere in scena le connivenze tra criminalità e potere, dando vita a una serie di personaggi e situazioni al limite della banalità, per non dire del macchiettismo. Vediamo così il "solito" politico puttaniere e opportunista, il "solito" piccolo e miserrimo faccendiere che fa la bella vita con i soldi sporchi, ma soprattutto una rappresentazione del "male" eccessivamente schematica e davvero tagliata con l'accetta, dove tutti finiscono nel tritacarne: il film, volutamente allegorico, certo, fa coincidere l' "apocalisse" del Paese con le dimissioni di Berlusconi da premier, causa scatenante della guerra di potere che coinvolgerà perfino il Vaticano (con l'abdicazione di Ratzinger e le alte cariche dello Ior colluse con la mafia) e che spargerà sangue a fiumi per tutta la città. Onestamente, per quanto suggestiva sia questa rappresentazione, far coincidere la fine (politica) di Berlusconi con la "fine del mondo", mi pare un tantino esagerato...
Ma, anche passando oltre la plausibilità politica di quanto detto sopra, a non convincere è soprattutto la plausibilità artistica di una sceneggiatura che vacilla pericolosamente proprio quando tratteggia i personaggi politicamente più potenti: con buona pace di Rulli e Petraglia (che, per carità, sono forse i migliori writers italiani, ma qui fanno fatica anche loro a tenere insieme un soggetto che mette troppa carne al fuoco) certe situazioni appaiono piuttosto goffe e improbabili: è francamente difficile immaginare che un boss mafioso possa introdursi fin dentro la Santa Sede e minacciare brutalmente di morte un cardinale corrotto, così come un feroce zingaro cravattaro delle periferie possa irrompere con estrema facilità nell'abitazione di un politico e terrorizzarne i familiari. Diciamo che se Sollima si fosse limitato all'azione pura e semplice, con le implicazioni politiche lasciate sullo sfondo (un po' come i romanzi di Camilleri) Suburra avrebbe potuto essere un capolavoro assoluto... in questo modo invece esagera, e parecchio.
Così, finisce che il personaggio più riuscito del film è quello di Samurai, il capo dei capi, l'ex militante fascista riciclatosi bandito e ora padrone della città (ogni riferimento a Massimo Carminati non è certo casuale) interpretato da un Claudio Amendola in stato di grazia, che dà vita a un criminale feroce ma sorprendentemente "misurato", mai sopra le righe, che risulta il più credibile tra tutte le (tante) figurine che compongono Suburra. Senz'altro più riuscito del politico imbelle e trasformista con le sembianze (improbabili) di Pierfrancesco Favino, e anche di un Elio Germano stavolta non particolarmente a suo agio in un personaggio così negativo come quello del p.r. che procura le mignotte per soddisfare le pulsioni sessuali dei potenti... bravi anche i giovani Alessandro Borghi e Greta Scarano, coppia "tossica" e pericolosa, "controllori" di un Lido di Ostia destinato a diventare, nel delirio mafioso, una nuova Las Vegas.
Suburra è un film dalla forma impeccabile e dai contenuti abbastanza discutibili, che ha il merito di riscoprire un genere difficile e dimenticato (in Italia) ma che vola troppo in alto fino a bruciarsi le ali, meritevole comunque di rispetto e del successo che quasi certamente otterrà: di questi tempi, riportare la gente al cinema con tematiche di questo tipo è davvero un'impresa eroica. Anche se è chiaro che i recenti sviluppi dell'inchiesta romana su Mafia Capitale hanno "involontariamente" fatto da traino alla pellicola, che ha davvero anticipato i tempi. Mai come in questo caso, infatti, la realtà ha di gran lunga superato la finzione.
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