Andiamo al Cinema
C’è del marcio a Roma.
E lo si capisce dai giornali e dai telegiornali con l’inchiesta Roma Capitale, lo si capisce da quel cinema di Claudio Caligari che con colpevole ritardo sto scoprendo solo in questi giorni, e lo si capisce andando in sala a vedere Suburra.
Del marcio che a quanto pare Stefano Sollima si diverte a mostrarci, visto che sua è anche la serie Romanzo Criminale, che di criminalità romana va da sé parlava, e sua è anche la serie Gomorra, dove Roma si vede in piccola parte pur facendo intendere certi legami con quella camorra senza scrupoli che da regista c’ha impressionato nel mostrarci.
Ora Sollima torna al cinema, per raccontarci di una Roma in cui tutto il marcio si intreccia, in cui scorrono fiumi di sangue, oltre che di pioggia, in cui l’apocalisse sembra sempre più drasticamente vicina.
Siamo al 5 novembre 2011, a quell’apocalisse mancano solo 7 giorni.
In una notte che sembra non finire mai, iniziano a intrecciarsi i destini di più personaggi: abbiamo il senatore Malgradi che ultimamente si è dato a festini privati a base di sesso e droga, abbiamo il ricco Sebastiano che dà feste alla Roma bene dimenticandosi di un padre che invece lo porta affondo con sé, abbiamo i veri mafiosi, i boss grandi e piccoli che siano, che si dividono le zone, stando ad Ostia in riva al mare e vivendo di colpi in attesa della grande svolta, stando in ville affollate dal lusso pacchiano, in cui non si tolgono di dosso la fama di zingari, di casinari.
E infine abbiamo il Samurai, che silenzioso risolve le questioni in modo pratico, che sempre silenziosamente ti può far fuori, che silenziosamente custodisce tutti i segreti della sua Roma.
I destini di ognuno di loro vengono intrecciati dalla morte di una giovane minorenne, che si dimentica in fretta, sepolta com’è sotto litri d’acqua che crescono al ritmo delle abbondanti piogge che sferzano la capitale.
La sua morte, porterà ad altre morti, a vendette e ritorsioni, ad avvertimenti da siglare con il sangue che Sollima ci fa seguire rapsodicamente, dividendo il tutto in capitoli, in giornate, con quell’Apocalisse che si avvicina, con i mormorii della chiesa a far tremare, con il governo stesso in cui la compravendita dei voti si fa alla luce del sole. Tutto attorno, quei boss di cui tutti conosco il nome e il volto, spadroneggiano, veri padroni della città, del suo destino.
In questo scenario che ci si apre davanti, si fatica ad entrare, e non per quella romanità con cui per forza di cose abbiamo dovuto approcciarci dopo anni di cinema capital-centrico, ma per quel ritmo che fin dal trailer ci si aspettava più movimentato, più adrenalinico, più d’azione.
E invece l’azione c’è, ma è dilatata, è immersa in uno schema dove ci si arriva pian piano, dove il crescendo non per forza di cose porta ad un climax.
Potrebbe essere una delusione, quindi, e forse per quanto riguarda le aspettative un po’ lo è, invece Suburra sa riscattarsi, sa portarti in un mondo sporco, dove il sangue e la morte sono all’ordine del giorno, dove sparare sembra un gioco da ragazzi.
A salvarlo è certamente un parterre di attori invidiabile, da quel Claudio Amendola burattinaio silenzioso all’ansiolitico Elio Germano, dal possente e irritante Favino, fino alle sorprese Giulia Elettra Goretti e Alessandro Borghi, che dietro occhi di rara bellezza, nasconde un piglio folle che lo rende idolo.
E poi certo, a salvarlo è un Stefano Sollima che dietro la macchina da presa compie grandi cose, con una fotografia curatissima (ma non ai livelli di Gomorra, per me) e la scelta di una colonna sonora leitmotiv che torna e ritorna sottolineando bene le scene più significative, sposandosi con la sua elettronica fredda e calda allo stesso tempo, alle immagini.
Quell’apocalisse a cui arriviamo infine, lascia sollevati però alcuni dubbi, irrisolte alcune questioni, e non ci è dato sapere se questi verranno sciolti nella già confermata serie televisiva firmata Netflix, o se questa ne sarà una rilettura più approfondita.
Di certo, l’esperienza episodica si sente parecchio nelle mani e nella mente di Sollima, che addensa tanto il tutto, che sa passare da un personaggio all’altro come all’interno di una puntata, anche se a volte questo vuol dire perdersi un po’.
Suburra resta comunque l’esempio di un buon cinema italiano, che quando si allontana dalle solite commedie caciarone, che anche se usa quei soliti noti, se deve raccontare una bella storia narrata da un ottimo direttore, sa dare il suo meglio.
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