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Suburra quale produzione mainstream e l’ideologia palingenetica del nuovo populismo

Creato il 21 ottobre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
suburra

Il volto definito del Potere, lo stigma e il revival del cinema di genere.

Eccoci dunque giunti a Suburra (2015) di Stefano Sollima, espressione ideologica congruente del populismo palingenetico veicolato a livello simbolico dal Movimento 5 Stelle, nell’attuale scena pubblica e politica italiana.

Il mito del futuro nudo e puro di una nazione rinata a vita e civiltà, a prescindere da tutta una Storia di stratificate, collegiali e radicate derive antropologiche; un mito messo qui in scena nella restituzione di ispirazione “nazional-popolare” del sentimento assolutistico delle trame occulte del Potere politico e della crisi della sicurezza sociale, tipico di quest’epoca post-berlusconiana.

L’urgenza espressiva fomentata dall’urgenza sociale si stempera così in un menù ricco di facce, generi, umori e sentimenti che, al di là di ogni spirito critico “libero”, devono in primis essere riconosciuti e condivisibili, all’ombra di codici linguistici incisivi e comunque largamente fruibili (una pioggia infernale, torrenziale e persistente, ritmi e montaggio serrati nelle sequenze propriamente action, maschere attoriali icastiche, spesso note al gran pubblico). Dimenticando però che il volto autentico del Potere si avvicina più alla sottigliezza concettuale di un dispositivo e di un’elusione tabuica che a una parata di allarmi e di facce stigmatizzabili.

Di qui l’affinità strutturale del lungometraggio di Sollima con l’universo di codici e simboli che caratterizzano da tempo il movimento politico di Beppe Grillo, anche dal punto di vista dello stile della comunicazione nei confronti dei relativi e diretti destinatari e interlocutori (rispettivamente, spettatori ed elettori).

In un caso e nell’altro, l’obiettivo espressamente perseguito pare difatti quello di una contaminazione di linguaggi e registri espressivi, per vocazione, originariamente differenti: quelli estetici e popolareschi della “piazza” (virtuale o meno) del comico e dei generi di evasione dell’industria cinematografica, e quelli della coscienza e della partecipazione civiche, declinate, come si è visto, nel segno del rifiuto di un passato politico di soprusi della classe dirigente (il climax drammatico e ideologico del film si intreccia con le dimissioni di Silvio Berlusconi dalla sua ultima carica di premier).

Francesco Di Benedetto



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