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È l’idea che animava la Destra storica e i prefetti dell’unificazione investiti della “missione” di guadagnare alla causa nazionale le lontane e recalcitranti regioni meridionali attraverso le questure, il controllo asfissiante sull’attività degli enti locali, lo scioglimento delle amministrazioni per motivi di ordine pubblico, la manipolazione delle elezioni. È l’ispirazione della legge sulla repressione del brigantaggio, la famigerata “legge Pica”, che ignorava la considerazione “sorprendente” contenuta nella relazione (3 maggio 1863) del deputato pugliese Giuseppe Massari, segretario della Commissione d’inchiesta parlamentare sul brigantaggio meridionale: “Il brigantaggio è stato considerato come questione di forza, e quindi per combatterlo non si è saputo far altro di meglio se non contrapporre forza a forza. Ma in cosiffatta questione la parte militare è accessoria, è secondaria”.
Da allora, poco sembra essere cambiato. Se si escludono i laureati sfornati, che scappano o non vedono l’ora di scappare (o restano, conficcando a forza nei cassetti pergamene e sogni), il gap con il Nord è sempre materiale e culturale. Mancano infrastrutture per spezzare l’isolamento fisico e favorire la liberazione in loco delle tante energie e progettualità autoctone; manca la determinazione necessaria per riuscire a scacciare, in settori non marginali della società, la sensazione che l’antistato possa offrire più opportunità dello Stato.
Scopriamo l’acqua calda, ma servono politiche di sviluppo che non si risolvano nello sperpero di denaro per progetti senza prospettiva, l’affermazione del principio meritocratico sulla prassi clientelare e nepotista, la fine della confusione del diritto col favore. Ma soprattutto serve una collettiva assunzione di responsabilità, perché spesso le insufficienze dello Stato diventano l’alibi di complicità quotidiane, più o meno consapevoli, con il malaffare e con la cattiva amministrazione.
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