Sud Sudan e la sua guerra di cui nessuno parla
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Sono centinaia i civili morti che si possono contare in diversi villaggi del Sudan, dove una guerra civile sta imperversando da mesi. I ribelli non hanno pietà per nessuno, quando arrivano in un villaggio che non li appoggia, la scena è sempre la stessa: diventerà, nel giro di pochi minuti, in un deserto. Anzi, un cimitero.
I ribelli, inoltre, sono spronati dai messaggi diffusi attraverso le onde radio, che grazie ai ripetitori possono essere ascoltati in tutto il Paese. Tali messaggi istigano i ribelli a violentare le donne di etnia diversa, oltre a incentivare i massacri e cacciare dalle città coloro che non hanno la loro stessa religione.
A sostenere i massacri è il portavoce dei ribelli, Lul Ruasi Koang, che si mostra soddisfatto della pulizia etnica che si sta susseguendo, e che ha portato la morte di duecento persone, il doppio sono i feriti. I ribelli non si fermano davanti a niente, assalendo moschee, ospedali, uccidendo anche donne e bambini che cercano solamente un posto dove rifugiarsi, lontano dalle sparatorie e dalle bombe.
L’unica via di salvezza è essere dell’etnia Nuer, la stessa dei ribelli, che vengono semplicemente scortato in zone sicure, mentre gli altri verranno massacrati. A contrastare i ribelli Nuer, capeggiati dall’ex Presidente del Sud Sudan Riek Machar, i fedeli al Governo dell’attuale Presidente Salva Kiir. Entrambi, però, non vedono una via diplomatica possibile per interrompere la guerriglia, se non la lotta armata.
di Alessandro Bovo
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