
Avremmo voluto leggere ben altre notizie positive, quest’oggi, a proposito del Sud-Sudan, la giovanissima nazione africana,che da appena un anno (11 luglio2011) ha raggiunto la sua indipendenza dal nord musulmano e fondamentalista di el Bashir e tante simpatie ha riscosso nel mondo, prima e dopo i risultati del referendum, che ne hanno sancito la secessione.
Invece, in una nota d’agenzia, scopriamo che nel corso di questa settimana sono state eseguite, a Juba, la capitale, ben due condanne a morte.
I media occidentali, come sempre, non ne parlano.
E la cosa non finisce qui in quanto parrebbe, secondo un rapporto attendibile di Amnesty International, che in attesa di esecuzione ci siano almeno altri 150 prigionieri.
E, ancora, dal luglio 2011, sono state eseguite anche altre 4 condanne a morte.
L’Alto Commissariato ONU per i diritti umani, venutone a conoscenza, invita pertanto tutti gli Stati aderenti a introdurre o a reintrodurre una moratoria ufficiale in vista di una sua abolizione e ricorda che solo 150 Stati membri delle Nazioni Unite hanno realmente, finora, abolito la pena di morte o introdotto una moratoria.
Occorre, allora, un impegno maggiore per il raggiungimento di questo obiettivo, perché si può fare e si può fare di più.
Sempre in Sud-Sudan,anche sul versante produzione ed esportazione del petrolio, le cose non vanno meglio in quanto bisogna attendere mesi, anche parecchi, perché tutto funzioni a dovere e comincino ad esserci profitti reali.
La motivazione è di natura tecnica. Ed è comprensibile, specie se si considera la povertà oggettiva di infrastrutture e mezzi del Paese, soddisfatto per altro dell’accordo raggiunto in agosto, con Khartoum, per l’utilizzo e il transito nei suoi oleodotti.
Il Sud-Sudan, infatti,bisogna ricordare che non ha sbocchi al mare e, poi, il 98% del bilancio pubblico, sia in Sud-Sudan che a Khartoum, poggia sopratutto sulle esportazioni di petrolio.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





