11 LUGLIO – Lunedì 9 luglio il Sud Sudan ha compiuto un anno.
Il primo compleanno dello stato è stata l’occasione per la capitale Juba di mostrarsi molto indaffarata. Eventi celebrativi, mostre d’arte, ridondanti discorsi e persino fiori nelle aiuole. Tutto è stato fatto per ricordare l’agognata indipendenza ottenuta dopo anni di morti e di violenze.
La grande maratona che si è tenuta sabato 7 luglio con partenza dal piazzale dello stadio di calcio di Juba, non è stata che l’inaugurazione delle celebrazioni culminate poi il lunedì successivo.
Ed è proprio nella giornata di lunedì che presso la spianata che porta il nome dell’eroe nazionale John Garang, si sono radunati centinaia di sud sudanesi pronti ad accogliere con una festosità tutta africana le parole del presidente Salva Kiir e del segretario dell’Onu Ban Ki-moon, intervenuti all’evento. Il grande assente è stato, però, il presidente sudanese Omar Hassan Bashir, quasi a ricordare che il primo anno di vita del Sud Sudan è stato anche e soprattutto un anno di drammatico conflitto.
Traballa, infatti, e avanza con passo incerto il giovane paese che dopo aver spento i rubinetti del petrolio a seguito del contenzioso circa le tariffe del transito dei barili che lo oppone da aprile alla patria di Bashir, si trova ad essere economicamente moribondo. Non per niente il 98% delle entrate del neonato stato provengono dall’oro nero e il blocco delle esportazioni ha inibito qualsiasi iniziativa statale in termini di edificazione di scuole e ospedali.
Oltre a questo, a guastare il compleanno del cinquantaquattresimo stato africano si aggiungono anche i disastri delle regioni del Kardofan meridionale e dei Monti Nuba che vedono le milizie dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan, violente promotrici dell’annessione al Sud Sudan, scontrarsi con quelle di Khartoum in sanguinose rappresaglie che hanno costretto alla fuga numeri altissimi di civili ora accalcati nei vari campi profughi sud-sudanesi. Non per niente l’associazione Medici senza Frontiere ha denunciato di recente come nel campo dell’Upper Nile State il tasso di mortalità sia il doppio della soglia di emergenza.
Oltre alla scarsa igiene, peculiare in queste situazioni, l’abbondanza di piogge ha fatto infatti straripare le latrine e ha costretto gli abitanti delle tende di stoffa e di plastica a dormire con vestiti fradici in giacigli bagnati rendendo in questo modo malattie banali e curabili, mortali.
“L’unica soluzione è la pace”. Così parla l’arcivescovo di Juba Paulino Lukuduloro. Ma in questo composito orizzonte dove si sprecano i drammi, simili parole appaiono appropriate quanto tristemente inverosimili.
Myriam Scandola