Sappiamo ormai da tempo che le cose non vanno bene più in Sudafrica, pur trattandosi, per qualità della vita e per sviluppo generalizzato in differenziati settori della produzione, del commercio e dei servizi, il primo Paese del continente africano.
Una politica sbagliata, perché corrotta e fatta da abili corruttori in colletti bianchi, ha prodotto per gradi i suoi danni anche laggiù. E ha fatto e fa rimpiangere oggi, ma anche ieri e l’altro ieri, un po’ a tutti, bianchi o neri, quella che fu la presidenza Mandela e l’impegno serio di un ANC,che attualmente è soltanto il lontanissimo ricordo di un movimento politico, e poi partito, che seppe distinguersi con parecchi meriti in quella che fu la lotta senza tregua contro l’apartheid e mettere fine alla dominazione coloniale britannica e boera.
Altri tempi, altra epoca. Finito. Oggi c’è Zuma e il suo populismo d’accatto e una crisi economica galoppante, che non risparmia nessuno. Popolazione bianca inclusa.
In questa coda d’inverno australe (giugno-agosto), infatti, si stanno discutendo nel Paese tutti i contratti di lavoro da rinnovare e ci sono inevitabilmente una serie di scioperi a catena .
I primi, fastidiosissimi,riguardano addirittura il settore dell’auto.
La produzione automobilistica, riferiscono i media locali, è quasi ferma in quanto almeno 30 mila operai hanno disertato, in queste ultime ore, il loro posto di lavoro. E questo perché alla loro richiesta di un aumento del 14% sul salario attuale (l’inflazione in Sudafrica è al 6%), la produzione ha risposto che non sarebbe andata oltre l’8%.
Poiché il settore dell’auto incide per il 6% sul Pil nazionale e rappresenta il 12% delle esportazioni è molto chiara la gravità dell’impasse in cui si trovano i grandi produttori e con essi tutto il resto dell’indotto (piccoli produttori e lavoratori), che ruota intorno. In poche parole significa ulteriore soppressione di posti di lavoro in un Paese in cui la disoccupazione comincia ad essere (e lo è realmente ) un problema di non più facile gestione.
Se si guarda al settore minerario poi, anche lì c’è poco da sorridere.
L’Amplat, società mineraria che trae in loco i suoi profitti dalle miniere di platino, definita il “gigante” del platino, ha annunciato, a breve, il licenziamento di 70 mila persone tra minatori e amministrativi.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)