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Anche Sufficit, infatti, come Lume Lume, ha mantenuto la promessa di una lettura rapida ed efficace, a tratti esilarante. Riassumere un libro di Nino Vetri è pressoché impossibile: nelle sue brevi e velocissime 154 pagine, il rischio è quello di perdere buona parte della vita, di non riuscire a seguire tutti i rivoli di un romanzo tutto sommato semplice. Di fatto, la migliore descrizione del metodo dell'autore l'ha fatta Andrea Camilleri: ordinare una dopo l'altra tante piccole tessere, in ognuna delle quali è contenuta una microstoria compiuta, sino a formare un vasto movimentatissimo, coloratissimo affresco.
Nel caso specifico, si parla di Nino Baldanza. Nino che eredita una proprietà piuttosto diroccata sulle Madonie, in contrada Guadanella, dove si rifugia nei momenti di sconforto, come avevano fatto suo nonno e suo padre. È un rifugio combattuto, delle quali moglie e figli non vogliono saper nulla, perché invivibile dall'homo metropolitanus, senza servizi e lontano dal mondo. Per non parlare del guardiano, tipico esempio del rigido servo filosofo che attraversa tanta letteratura: Nino anche lui, monopolizza la vita dell'erede e dei suoi ospiti con il suo rifiuto della città, dei suoi abitanti e dei suoi veleni. Nino, spettacolo ancestrale di una vita refrattaria al futuro.
Assai si trattiene, chiede ogni volta che il padrone si reca alla Guadanella. E forse solo chi è meridionale può apprezzare il valore di quell'assai, la comica resistenza di un'imperturbabilità costruita, difesa, anarchica e dilettevole. La Guadanella è il regno del silenzio: non c'è una storia che si possa sviluppare in questa letargica misantropia: o la sospensione del giudizio, del pensiero, perfino delle più elementari forme di autodifesa, o lo sciamare di storie, tipico di Nino Vetri. Storie di uomini e donne che non sono lì, tra quelle pareti diroccate e inverosimili, storie di uomini e donne che non sono più lì.
Come quella del cardinale che fa visita di preghiera e digiuno al parroco e invia la dieta preferita alla perpetua, così perché ci si regoli. Una lista di quelle preparate, senza lasciar nulla al caso, con tanto di sigillo papalino in quel misterioso sufficit finale. E siccome il curato è un uomo semplice e schietto, e a dir la verità non sa molto di latinorum, si rivolge al coltissimo farmacista socialista in paese, il quale gli dice che i sufficit sono i coglioni del toro, sani, bolliti e cosparsi di burro, da servire dopo il rosolio. Così il porporato, dopo il suo liquore, si vedeva servire questo strano e misterioso dessert, finché... sufficit!
L'ironia di Nino Vetri, garbata e sbuffante come quella di un fumetto, è l'umorismo goliardico di un uomo segretamente simpatico, paradossale, anche un po' poeta, se essere poeti significa impossessarsi del mondo per scoprirsi estranei e rimanerne sempre stupiti. Sufficit è magnetico nella sua semplicità, meno lirico di Lume Lume, un po' più pensoso e incazzato, se si vuole. A tratti, con uno spirito completamente diverso, ricorda il bellissimo racconto di Michele Mari Euridice aveva un cane, ma ha un suo ritmo, una sua personalità, una sua chiara e amabile fisionomia.
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