Le opinioni, a quarant’anni dalle leggi razziali, sono molte e diverse tra gli australiani bianchi. C’è chi li vede come barboni che di voglia di lavorare non ne hanno, ma che se ne avessero non li assumerebbe comunque, e c’è cerca di capire da dove vengono, cosa li ha portati ad essere gli zombie del Northern Territory, e andargli incontro in un aiuto che questi non sembrano volere. Il governo deve loro molto, non solo per le leggi razziali ancora recenti, ma soprattutto per la terribile storia delle generazioni rubate, in cui l’Australia bianca, nella speranza di estinguere la popolazione indigena, formulò la legge che permise il rapimento di tutti i bambini aborigeni per l’introduzione nella società occidentale, in quella che veniva consideratà la “civiltà”. Oggi il governo, oltre alle scuse ufficiali, regala loro case e terreni, ma questo non basta. La popolazione si divide trova il trattamento ingiusto, e chi lo vede come un metodo per tenerli buoni. Gli aborigeni queste case non sembrano neanche volerle, le porte vengono utilizzate per i falò, e la tradizione nomade non trova casa in un edificio di mattoni.
La questione oggi sta nel far andare d’accordo due popoli che con l’un l’altro hanno niente a che fare, l’uno la grande società capitalista che sembra essere una delle poche terre di opportunità ancora disponibili, e l’altro che trova la pace in quelle distese rosse, e non chiede altro che una vita basata sulla sussistenza. Da una parte c’è chi il deserto lo sfrutta per scavare miniere, chi sa che basta fare un buco in terra per arricchirsi, e dall’altra c’è chi in quel deserto ci ha vissuto migliaia di anni e ora se lo vede tolto da sotto i piedi, costretto ad adattarsi a qualcosa di cui non fa parte. Quale sia la soluzione non si sia, entrambi ormai condividono un territorio che non possono abbandonare.
Viaggiando nell’Outback però, uno dei problemi maggiori è la benzina, utilizzata come droga a basso costo da quegli aborigeni che cercano di evadere la situazione, almeno mentalmente, e non possono permettersi altro. Una delle storie che si sentono al momento dell’avventurarsi nel deserto è quella di aborigeni al lato della strada che fanno finta di aver finito il carburante nella propria macchina e chiedono aiuto a chi passa. Non è solo una leggenda in realtà, ma cosa che accade tutti i giorni. Fermarsi ed aiutarli spesso significa essere la causa del problema, ma lasciarli nel mezzo al deserto, senza sapere se la macchina è realmente in panne potrebbe essere molto peggio. Recentemente è stata introdotta la benzina Opal, inodore, che parrebbe non creare gli stessi effetti quando sniffata, ma il problema rimane in quanto questa è servita solo da alcuni rifornitori, e la normale benzina verde è ancora largamente disponibile.
E la benzina rappresenta un po’ tutto il problema. Esiste perché i bianchi non possono farne a meno, ma più ce n’è e più i neri si fanno del male. Non si può eliminare la benzina in quelle aree, perché si eliminerebbe la civiltà. Eliminando la civiltà, però, i nomadi ritroverebbero la pace e questa per loro sembra essere davvero l’unica soluzione. Vivere nel deserto, liberi, o farsi stordire dalla nostra società, non sembra veramente esserci una scelta. Quello degli aborigeni d’Australia sembra essere un destino scuro. Cercare di capirli, aiutarli, è a volte più difficile che ignorarli e purtroppo la diffidenza, legittima, che c’è nei confronti della pelle bianca non rende le cose più semplici nemmeno un po’.