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Sui Generis? Osservazioni sulla politica estera indiana

Creato il 13 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Sui Generis? Osservazioni sulla politica estera indiana

Il nuovo Presidente indiano è stato eletto lo scorso 19 luglio. L’attenzione pubblica verso questo evento testimonia il ruolo crescente della presidenza nella vita politica del Paese. Il modo in cui il neo eletto Presidente influenzerà la politica estera è una domanda tra le più popolari. Non è un caso che ci sia interesse nei confronti delle difficoltà economiche attualmente presenti in India. Il problema è che il Primo Ministro Manmohan Singh sembra essersi focalizzato unicamente sul ripristino della crescita economica che incide direttamente sull’opinione pubblica. E’ sempre stato così, o più precisamente da quando l’Indian National Congress è ritornato al potere nel 2004, cosicché sorge un’altra intrigante domanda: quale istituzione politica indiana sarà infine responsabile della politica estera del Paese? Non è vero forse che ci sono alcuni “centri di potere non costituzionale”, nascosti all’opinione pubblica nel ventre della “più grande democrazia del mondo”, che hanno gradualmente, ma in modo irreversibile, rivisitato le strategie di politica estera dell’era di Nehru? Naturalmente tutto ciò è avvenuto seguendo i dettami dell’”aggiornamento” o “del mettersi al passo con le realtà del XXI secolo”.

Queste domande emergono in quanto l’evoluzione della politica estera indiana ha influenzato le relazioni Delhi-Mosca nell’ultima dozzina di anni. Ripercorriamo le principali fasi storiche che hanno caratterizzato le relazioni bilaterali tra l’Urss/Russia e l’India per capire meglio le dinamiche di questo processo: 1) alleanza strategica (seconda metà degli anni ‘50 – prima metà degli anni ‘80 del XX secolo); 2) graduale separazione geopolitica (seconda metà anni ‘80 -fine degli anni ‘90); 3) partnership strategica (dall’inizio degli anni 2000 ad oggi). L’attuale “ritiro” della Russia dall’India dopo lo smembramento dell’Unione Sovietica ha creato nel governo indiano un forte stereotipo negativo nei confronti dell’ex-alleato strategico. La Russia è praticamente sparita dallo scenario politico e dal mondo dell’informazione indiani.

All’inizio del XXI secolo Mosca decide di “ritornare” in India (ed in Asia in generale). L’India (rappresentata dall’allora Primo Ministro Atal Bihari Vajpayee) ha affrontato intensamente la questione dello sviluppo di “nuove” relazioni con il vecchio alleato, mantenendo però un certo scetticismo su quanto sia accuratamente elaborata la nuova dimensione della politica estera russa. Vorrei evidenziare che A.B. Vajpayee, che era stato molto critico nei confronti della personalità e della politica di Nehru, ha comunque lasciato intatto l’”elemento nehruviano” della politica estera indiana, condividendo “la percezione che l’India sia un centro indipendente della politica mondiale”.
Ripercorrendo l’evoluzione della politica estera indiana si può notare come il revisionismo dei principi fondamentali della propria posizione sullo scenario internazionale sia incominciato dopo le elezioni del 2004, che hanno riportato il partito del Congresso al potere. La revisione graduale della politica dell’epoca nehruviana ha avuto luogo a causa dell’influenza di due tendenze globali percepite dai dirigenti della politica estera indiana. In primo luogo, gli USA continuano ad essere, nonostante il loro potere sia in declino, leader economici e tecnico-militari a livello mondiale. La transizione dell’umanità ad una realtà multilaterale post-americana si ritrova molto chiaramente nel pensiero politico d’oltreoceano. Ad esempio, George Friedman, eminente esperto americano a capo del think tank “Startfor”, definisce gli USA come l’”unico potere globale”, seguendo la tradizione iniziata da Walt Rostow, che considerava gli USA non tanto come una “superpotenza”, ma piuttosto come una “potenza di margine critico” nella creazione dello sviluppo globale. All’inizio del terzo millennio la forte crescita della Cina (basata su oltre trent’anni di crescita economica accelerata) ha trasformato il Celeste Impero in una nuova potenza mondiale, una nuova “potenza di margine critico”.

Le forze che cercano di rivisitare la politica estera del periodo nehruviano lo fanno approfittandosi di alcune pagine della storia indiana: le sofferte memorie della guerra di confine indo-cinese dell’autunno del 1962. La revisione della politica nehruviana è l’obbiettivo oltre che della comunità indiana residente negli USA (composta da oltre 3 milioni di persone), anche dei top manager delle imprese indiane e di parte della classe media culturalmente orientata verso gli Stati Uniti. Questa “simbiosi” politica che ha preso piede tra tali diversi gruppi sta influenzando il pensiero decisionale della politica estera. Tra le varie influenze ritroviamo: la generale tendenza della politica estera indiana verso gli USA (presentata all’opinione pubblica come “un’integrazione nell’economia mondiale”); la conclusione dell’”accordo nucleare” tra India e USA (che secondo i critici, sia di destra che di sinistra, minerà la sovranità politica dello Stato e non porterà i risultati aspettati); la transizione alla cooperazione tecnico-militare con i nordamericani che mira a “contenere l’espansione” in Asia e nel Pacifico della Cina (principale creditore degli USA) creando contemporaneamente un’alleanza di quattro democrazie: Stati Uniti, Giappone, Australia e India. (Vorrei anche far notare come le prospettive economiche di Giappone ed Australia dipendano in larga parte dalla cooperazione con la Cina).

Allo stesso tempo le questioni di politica estera non sono diventate parte integrante della politica interna indiana. Non dimentichiamoci che la politica è un gioco “di grandi numeri” ed è proprio da questi ultimi che la politica indiana viene influenzata. Non è difficile indovinare: “i grandi numeri” sono prima di tutto le forze socio-politiche, le “classi più basse” della società tradizionale e gerarchica in continuo cambiamento, che stanno incominciando ad organizzarsi politicamente. Inoltre, i politici sia di destra che di sinistra insistono sul fatto che l’India dovrebbe conservare il “privilegio” del mantenimento di una politica estera indipendente basata sul consenso nazionale, invece di promuovere gli interessi di alcuni gruppi sociali e di individui influenti. Oltre a ciò la posizione stessa dell’India nel contesto nazionale deve essere rafforzata. In particolare il Paese ha problemi irrisolti con i vicini del sud dell’Asia, con i quali la Cina invece sta sviluppando forti relazioni. Inoltre la Cina aspira a neutralizzare le forze potenzialmente ostili che si trovano nelle elite indiane. In particolare sta pianificando di fare grossi investimenti nell’economia di un gran numero di Stati indiani. Non da ultimo la Cina è pronta ad aiutare l’India nel modernizzare le sue infrastrutture delle quali, secondo gli esperti, la crescita economica indiana non può fare a meno. Con quale dottrina di politica estera sarà quindi sostituita l’era nehruviana? Voglio essere diretto: i “ricchi indiani” non hanno un’opzione altrettanto valida e completa; una parte dell’establishment sta tentando di dare credibilità ad alcuni concetti di politica estera alternativi ampiamente assodati nel discorso pubblico indiano.

In primo luogo, gli USA e l’India hanno davvero compreso il crescente attivismo cinese, considerando soprattutto il fatto che la Cina è il principale creditore degli USA e, come alcuni affermano, è pronta a convertire la sua influenza geoeconomica in un’espansione geopolitica. Secondo le stime di parte dell’elite indiana, questo giustifica una “convergenza geopolitica” (o una “ alleanza geopolitica” – A. Volodin) con gli Stati Uniti. In secondo luogo, la percezione politica degli Stati Uniti riguardo ad alcuni gruppi influenti della società indiana (sebbene come sopra citato questi gruppi non costituiscano la maggioranza nel sistema di governo indiano) sta cambiando – c’è qualcosa che sta portando i due paesi ad avvicinarsi sulla base di alcuni comuni “valori democratici”, di interessi economici e di valutazioni sul sistema globale. Terzo, ci si aspetta che le relazioni con il seppur indebolito Nordmerica permettano all’India di accrescere il suo status sulla scena internazionale diventando un polo di riferimento per la politica globale. Alcuni analisti credono che questo obbiettivo si possa raggiungere senza danneggiare la sovranità dello Stato indiano. Ad esempio Kanwal Sibal, ex ministro degli esteri ed ex ambasciatore a Mosca, suppone che “l’eventuale modello di partnership India-USA non sarà né quello di USA-Gran Bretagna, né quello di USA-Giappone o di USA-Francia. L’India non è né un alleato storico come la Gran Bretagna, né uno insofferente come quello francese e non è nemmeno dipendente per la sicurezza come il Giappone. L’India cercherà per quanto possibile di mantenere la sua indipendenza nella capacità decisionale (in politica estera – A.V.) ma cercherà anche di far convergere (i suoi interessi – A.V) con quelli degli USA. Sarà un modello unico (di relazioni bilaterali -A.V.) dato che l’India è un Paese sui generis e gli Usa credono nella sua eccezionalità.”

Lasciatemi aggiungere un piccolo commento su quello che un formidabile pensatore politico e persona di tutto rispetto in Russia ha affermato. In primo luogo, non è la prima volta che viene sperimentato un “modello unico” di relazione con gli USA. Ai suoi tempi il Generale Charles De Gaulle cercò di introdurre gli stessi principi nella relazione franco-nordamericana: come è ben noto i tentativi sono stati inutili e sono terminati nel ritiro francese dalla NATO. Oggi la speciale caratteristica della relazione è un significativo indebolimento del potenziale geopolitico e geoeconomico della Francia. Questo ha incoraggiato alcuni analisti francesi a definire la Quinta Repubblica “strategicamente irrilevante” nel XXI secolo. Dovremmo essere sorpresi dall’atteggiamento condiscendente dimostrato dagli statunitensi verso alcune affermazioni “eccentriche” dell’ex Presidente francese N. Sarkozy? Quanto c’è di reale nel “dialogo strategico” tra gli USA e la Russia (che si suppone sia per definizione una partnership equa)? Questo è dimostrato dallo spiacevole destino della “reset policy” usata dagli USA per accaparrasi maggiori vantaggi dalla relazione bilaterale. Oltre a questo gli USA devono mantenere un “dialogo strategico” realistico con la Cina, paese che rimane fedele al semplice ed intelligibile principio che, nelle parole del famoso poeta russo A. Pushkin, “si è fatto rispettare da tutti noi / e niente di meglio può inventare”. La Russia sembra alla fine aver scelto esattamente questa strada. É inoltre opportuno rammentare l’esperienza di Jawaharlal Nehru, che non soltanto è stato un abile politico, ma anche un grande pensatore del XX secolo. Egli ha perfettamente apprezzato i benefici di basare il sistema bancario sulle risorse interne del Paese (“self-reliance”) e sul potenziale intellettuale autoctono, conducendo un’efficace politica estera.

Lasciatemi fare un’ulteriore considerazione sulla politica estera indiana nel suo insieme. La “crisi siriana” ha messo in luce la dipendenza indiana dalla disponibilità delle “monarchie del petrolio” dei Paesi del Golfo, con a capo l’Arabia Saudita (all’incirca 6 milioni di indiani lavorano nella regione con rimesse pari a non meno di 20 miliardi di dollari). Da una parte la politica pragmatica incontra i reali interessi economici. Dall’altra parte questa politica mira solo al futuro prossimo, mentre gli obbiettivi strategici della politica di Delhi stanno impercettibilmente svanendo a causa di numerose decisioni ed azioni basate sul compromesso a spese di una prospettiva geopolitica di lungo termine. Dopo quanto abbiamo finora espresso suona alquanto irrealistico parlare di un “programma” strategico che sostituisca l’era nehruviana. La Russia sta inoltre seguendo attentamente l’evoluzione della politica estera indiana. L’apparizione del termine “rughe” relativo alle relazioni bilaterali è un risultato provvisorio delle decisioni inerenti alla questione. Una posizione maggiormente definita di Cina e India a riguardo delle priorità della politica estera russa continuerebbe questo trend. Allo stesso modo, se la relazione russo-indiana è definita ancora come una “partnership strategica”, il rapporto sino-russo è un gradino sopra, avendo già assodato il concetto di “fiducia reciproca”. Mosca sembra prendersi una piccola pausa per dare alla sua diplomazia l’opportunità di sistemare i rapporti con la politica estera indiana e di studiarne la direzione, la sostanza e la qualità. L’India è sempre stata un importante partner in politica estera per la Russia. Io credo che le “rughe” nelle loro relazioni bilaterali siano un fenomeno temporaneo. La mia convinzione si basa sull’inerzia potente e positiva della continuità delle relazioni bilaterali e sulla forte tradizione democratica insita nella società indiana.

(Traduzione dall’inglese di Lavinia Ruscigni)


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