Magazine Poesie
Gli aeroporti sono uno dei luoghi in cui la gente dà il meglio di sé.
Mi guardo attorno, mi dissolvo in storie non mie, provo a delinearne i confini, a tradurre gesti sottili e immensi al contempo. Rubo le sensazioni che quegli sguardi non hanno né voglia, né intenzione di nascondere. Raccolgo l’ansia e l’entusiasmo di cui cade qualche briciola a terra. Inciampo in qualche confidenza che sfugge tra sconosciuti, perché è più facile raccontarsi a qualcuno che non sa niente di te, che probabilmente non incontrerai mai più nella tua vita e che, se ti giudica, poco importa: è la presenza di un attimo che l’attimo successivo si affretterà a far parte dei ricordi. Ed è più semplice ridere e piangere in questi posti senza identità. È più semplice essere chiunque si voglia essere. È più semplice, perfino, essere se stessi.
Valigie piene di esperienze e di vestiti si inseguono sul nastro, chiuse a fatica, perché si ha sempre l’impressione di aver dimenticato qualcosa, allora ci s’infila dentro di più: un’idea, un’aspettativa, un’imposizione, un proposito, un maglione che forse non verrà mai indossato, ma sapere che c’è basta a riempire quel piccolo vuoto che la sua assenza avrebbe potuto dilatare. Forse per capirci davvero bisognerebbe aprire la valigia di ognuno di noi, perché guardarci dentro sarebbe come guardarsi dentro. Nella mia c’è un po’ di disordine, ma c’è tutto. Non mi andava di aggiungere il superfluo, ho lascito un po’ di spazio per qualche nuova e importante emozione che so che riporterò con me al ritorno. Sono pronta a barattarla con una camicetta o un paio di jeans, magari con entrambi. Ma sì, svuoterò e riempirò tutto da capo, il disordine non serve!
Abbracci nuovi, figli di lunghe attese, prendono la rincorsa. Pioggia di gioia scende da occhi che finalmente si rincontrano e si riconoscono. Altra di tristezza parla di un “a presto!” sussurrato con la convinzione che i giorni non scorreranno così in fretta.
E le loro vite provo a immaginarle, a costruirle, a prevederle nella confusione di mille parole.
Sul sedile davanti a me, una stretta di mano è seguita da due nomi. Un lui e una lei che forse si stanno inventando o forse stanno indossando la maschera della verità. Chissà se per loro dopo questo viaggio un domani insieme ci sarà.
È arrivato il momento di spiccare il volo e lasciar giù i pesi inutili. Guardo fuori dal finestrino e, mentre prendo quota, il sole si adagia all'orizzonte. Socchiudo gli occhi, spengo la fantasia e assaporo questo istante che tanti altri li racchiude già.
Odio le partenze. Amo i ritorni.
Amo le storie da disegnare sui volti della gente, immaginare cosa li aspetterà. Ma, prima di continuare a fare la cantastorie delle vite altrui, mi fermo e mi soffermo sulla mia e qui, a dire il vero, mi frena la fantasia.
E mi domando cos’è che, invece, aspetta me.