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Considerando che Suite Francese è solo il terzo lungometraggio per il grande schermo, possiamo ben credere che Saul Dibb abbia molto da dare al panorama cinematografico internazionale. Il regista di Bullett Boy e The Duchess ha infatti accettato una sfida non facile: portare sul grande schermo il romanzo pentapartito di Irene Nemirovisky, incompiuto a causa della morte prematura della scrittrice ebrea, avvenuta a soli trentanove anni ad Auschwitz. La fortuna letteraria dell’opera è in gran parte riconducile alle rocambolesche vicende cui andò incontro: dimenticata dalle figlie –che credevano si trattasse di diari intimi della madre–, venne riscoperta nella sua grandezza letteraria e storica più di sessantacinque anni dopo la scomparsa dell’autrice.
Il titolo fornisce una proficua chiave di lettura tematica e strutturale con l’omonima composizione bachiana: come in questo caso infatti, l’opera è composta da più pezzi autonomi, in una gradevole altalena di toni e umori. Se per quanto concerne i celebri componimenti musicali, la specificazione di “francese” è totalmente aleatoria –dal momento che le suite bachiane non rispettano i canoni della produzione clavicembalistica del diciottesimo secolo francese–, allo stesso modo lo spettatore farà fatica a rinvenire nell’opera di Dibb un qualche retaggio della filmografia francofona.
Dell’originale e complessa trama di storie progettata dalla Nemirovsky, è stato elaborato un fine mosaico compositivo, costituito interponendo l’inizio della prima novella - Tempête en juin (Tempesta in giugno) - al centro narrativo della seconda, Dolce. L’abbandono di Parigi all’inizio del giugno 1940 da parte della popolazione sconvolta dai bombardamenti, fa da cornice alla storia d’amore tra Lucile (Michelle Williams), una giovane nobile francese che vive a Bussy insieme alla suocera (Kristin Scott Thomas), e il giovane ufficiale tedesco Bruno Von Falk (Matthias Schoenaerts). Interpretata con la tipica verve altezzosa della Thomas, Madame Angellier è una ricca proprietaria terriera che passa le giornate a tiranneggiare i suoi inquilini e la mite nuora. Come la caratterizzazione dell’anziana possidente andrà incontro a piacevoli evoluzioni –evitando così che a un personaggio sia irrimediabilmente associato un vizio o una virtù–, anche la psicologia dei militari tedeschi che occupano Bussy, non cade nel clichè o nell’allettante luogo comune.
Ecco dunque che personaggi che inizialmente sono una cosa sola emergono nelle loro sfumature, e ciascuno pare essere altro da ciò che desidera: così come il giovane ufficiale si diletta in componimenti pianistici e mal digerisce i ritmi della guerra, la giovane eroina si sente a disagio nei panni della ricca senza-cuore.
Vari temi attraversano l’opera –la compassione, la collaborazione, la corsa ai tradimenti–, ma la guerra, seppure sia il motore scatenante dell’azione, resta un lontano rumore di sottofondo. Centro nevralgico della vicenda è infatti l’amore proibito tra Lucile e il giovane tedesco. L’affaire amoroso segue un corso prevedibile, inutilmente sottolineato dal voice-over della protagonista. Oltre alla voce narrante un altro problema da cui l’opera non può dirsi esente, è una certa superficialità nel ritratto delle varie figure che popolano Bussy: alla qualità della caratterizzazione viene spesso privilegiata la quantità dei personaggi che una vicenda corale consente di immettere. L’opera ritrova tuttavia una sua armonia, specie grazie all’ottima recitazione degli interpreti, e all’ironia con cui viene descritto l’atteggiamento degli occupati nei confronti dei nuovi padroni. Erica Belluzzi
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