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Non è una divisa di un altro colore a fare con certezza un nemico. L'odio non si impone per forza dall'alto, per una ragione di Stato.
Il popolo vinto in fondo può essere che si somigli, nello stato d'animo, col popolo vincitore.
Se Tempesta di giugno raccontava della Francia nei giorni dell'invasione e dell'armistizio, Dolce presenta invece il Paese già occupato dai nazisti, mettendo in risalto come spesso quella convivenza forzata tra francesi e tedeschi non fosse poi così piena d'odio e di rancore: a volte poteva essere addirittura una convivenza dolce, appunto.
Ne sa qualcosa Lucile, moglie di Gaston, prigioniero di guerra figlio della vedova Angellier, con cui vive la nuora, in una villa bellissima a Bussy, alla periferia di Parigi. Il matrimonio di Lucile e Gaston non era stato certo celebrato per amore: lei l'aveva sposato per volere del padre e lui per la ricca dote che poteva offrirgli. Non si erano mai amati e, nonostante lei fosse giovane e molto bella, lui le aveva, fin dall'inizio, preferito le attenzioni di una sartina parigina.
Lucile conduce una vita noiosa in quella casa ricca e vuota, costretta a vivere con una suocera che le rende l'esistenza un incubo. La situazione finalmente cambia quando, con la Francia occupata, in quella villa arriva un ufficiale tedesco, Bruno. È bello, Bruno, ha solo ventiquattro anni e una moglie lontana che ha sposato prima della guerra e che non ha più visto. È un tedesco, un nemico, come tale dovrebbe essere trattato, con sufficienza e indifferenza. Alla signora Angellier riesce bene evitarlo, ma la nuora non è poi tanto convinta che quelle mani siano sporche di sangue francese. Oh sì, certo, sa che è così, ma sono pur sempre mani giovani di un uomo educato, affascinante, un uomo che sognava di fare il musicista, ma che ha dovuto, suo malgrado, fare il soldato.
Bruno, agli occhi di Lucile, non è più colpevole di Gaston in quella guerra. Quella guerra e quel sangue non sono stati loro a volerlo. E allora: che male c'è nel fermarsi a parlare con quel ragazzo dai capelli biondi? Che male c'è se passeggiano insieme? Che male c'è se lui le suona il pianoforte e lei gli legge i libri? E poi Gaston non l'ha mai amata, questo Bruno invece... Sì, è un tedesco, un nemico, ma prima di tutto è un uomo.
Dolce è soprattutto la storia di un amore, vissuto segretamente, mentre da qualche parte si combatteva, ma non lì, non a Bussy, non in quel momento in quella Francia appena occupata. Furono mesi tranquilli quelli subito successivi all'armistizio, mesi in cui l'arrivo dei tedeschi fu quasi un piacere, un pretesto per andare oltre la monotonia di quella vita in guerra piena di stenti. Le donne, in particolare, furono ben liete di vedere finalmente degli uomini in carne e ossa per le strade, dopo che i loro uomini erano stati mandati tutti a combattere.
Suite francese è un romanzo che mi è sembrato davvero molto bello, nonostante lo sarebbe potuto essere molto di più se Irène Némirovsky avesse avuto la possibilità di scriverlo come aveva in mente di fare. E invece è morta ad Auschwitz e ha lasciato un'opera incompiuta che, non volendo, termina con una parte molto delicata e pacifica. Termina con una nuova guerra appena dichiarata, con questi soldati tedeschi che vengono mandati in Russia, senza sapere che cosa ne sarebbe stato di loro. Chissà che fine avrebbe fatto Benoit nei piani dell'autrice. E chissà se Bruno sarebbe sopravvissuto alla campagna di Russia e un giorno, dopo la guerra, sarebbe tornato da Lucile. Chissà se a quel punto avrebbero avuto la voglia e il coraggio per viversi con sincerità.
Chissà.
Mi mettono molta tristezza questi chissà che siamo costretti a usare a proposito di Suite francese.
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