Alessandra Testa 4 ottobre 2013
Irène Némirovsky dedica l’ultimo periodo della sua vita alla stesura di Suite française. A causa della sua deportazione nel 1942 prima a Pithiviers e poi ad Auschwitz, l’opera rimane incompiuta e il suo proseguimento si può solo intuire grazie ad appunti e schemi lasciati dalla scrittrice. L’idea originaria era di strutturare questo scritto ambizioso in cinque “movimenti” (Tempête en juin, Dolce, Captivité, Batailles e La Paix) dando così vita ad una sorta di poema sinfonico. Rimangono delle circa mille pagine previste dall’autrice per il suo romanzo soltanto due movimenti: Tempesta in giugno e Dolce. Nel primo viene descritta l’alba della guerra, la fuga e la disfatta del popolo francese; nel secondo ci si focalizza invece sull’occupazione dei soldati tedeschi in un paesino di campagna e su come gli eventi si evolvono all’interno della comunità. Suite francese viene pubblicato postumo soltanto nel 2004. In Italia esce l’anno dopo per Adelphi con la traduzione di Laura Frausin Guarino.
Tempesta in giugno
I personaggi in questa prima parte più corale si delineano gradualmente durante la narrazione scandita in episodi. Alcuni di loro emergono per restare tra le pagine, altri fanno solo una fugace apparizione per non riaffiorare più, purtroppo il loro destino ci è ignoto. Tra l’indistinguibile massa di parigini in fuga dalla capitale dopo il primo bombardamento del 4 giugno del 1940, troviamo la famiglia Péricand impegnata nella salvaguardia dei propri beni materiali; i coniugi Michaud alle prese con un figlio disperso e con la notizia di essere stati entrambi licenziati; il vecchio scapolo Charlie Langelet che senza rimorsi inganna una coppia di giovani pur di raggiungere i suoi scopi ed infine lo scrittore Gabriel Corte, intriso di poesia dalla testa ai piedi, che con difficoltà si adatta alle necessità pratiche e alla vita di stenti che la guerra gli impone; costantemente innervosito dalla bruttezza della gente e dallo sfacelo del contesto circostante, non rifiuta il dolore ma ambisce ad una sofferenza più alta e nobilitante di quella a cui è sottoposto. Questi nuclei vengono ritratti in segmenti distinti nel loro sfuggire al conflitto; sono inizialmente rinchiusi nelle proprie speranze che la faccenda sia breve ed indolore, ciechi fino all’ultimo davanti all’inevitabile. Attendono che qualcosa succeda, che la guerra giunga o, ancora meglio, che svanisca come un brutto sogno e che finalmente si ritorni all’amata Parigi. La delusione del popolo viene confermata dall’armistizio, notizia che giunge più indesiderata della morte di un figlio. Tra un evento tragico e l’altro si fanno spazio episodi insignificanti ma ricchi di lirismo: si ricordano le gioie della campagna, la presenza della natura o la bellezza degli eventi cittadini. Irène Némirovsky ci introduce qui alla soluzione che i francesi afflitti escogitano per sfuggire alla realtà sconfortante, ovvero la ricerca di senso nei gesti della quotidianità. C’è più violenza nei momenti inaspettati che sotto le bombe sganciate dagli aerei. C’è più violenza nei ragazzi che lanciano pietre alle lucertole e la cui selvaggia brutalità porta all’uccisione senza motivo di Philippe, il figlio maggiore dei Péricand che si era fatto prete. Sono quasi inumani ed incarnano perfettamente lo spirito senza scrupoli della guerra.
Dolce
Dopo la vittoria tedesca sul suolo francese la scena si sposta dalle campagne a Parigi e poi nuovamente in provincia. La scrittrice sembra voler fare uno zoom temporaneo sulla capitale mettendo in risalto le differenze rispetto al momento del suo abbandono. In questa parte del romanzo c’è ancora qualcosa da desiderare, da apprezzare e da amare nonostante il tempo di guerra. Le figure di Madeleine e Lucile, diverse e di ambizioni opposte, vengono messe a confronto e preferite rispetto a tutti gli altri personaggi. Le loro vite mute e vuote sono immobili nella stasi della tragedia, ma vengono scosse dall’occupazione tedesca e dall’arrivo nella propria casa di ospiti dell’esercito nemico. Si ritrova la vena romantica tipica degli scritti della Némirovsky (forse si può escludere da questa definizione Jezabel, dove l’ossessione regna incontrastata su tutti gli altri sentimenti). In questa sezione si passa dalla descrizione generale degli avvenimenti a quella di particolari situazioni ambientate in contesti più piccoli ed all’interno di piccoli nuclei familiari. Come anche nella prima parte del romanzo, non sono gli attentati e le fucilazioni o la miseria ad essere gli eventi più tormentosi. È piuttosto l’indifferenza imperante anche tra le persone più innocue e comuni a spiazzare. Ci viene mostrata l’universalità dell’amore per rincuorarci, ma anche la sua inevitabile meschinità. Il romanzo si interrompe sull’angoscia della partenza. Le vicende narrate rimangono sospese mentre la Storia è risaputa. Tornerà mai Bruno, l’ufficiale di cui si è invaghita Lucile, per rapirla da un’esistenza di noia e conformismo? È improbabile, ma questo finale aperto ci lascia a fantasticare (anche se non possiamo dimenticare gli appunti della scrittrice che chiariscono le sue intenzioni sul destino di alcuni personaggi nel proseguimento del racconto). Secondo Pietro Citati Suite française lascia un certo senso di letizia dopo la lettura. Pare strana un’affermazione del genere riguardo ad un libro che descrive minuziosamente l’esodo dei parigini e i rovinosi eventi della Seconda Guerra Mondiale. Forse Irène ha preferito addolcire la realtà, ha deciso di condire la resa cruda dei fatti con l’estasi che il mondo circostante e la terra francese le ha ispirato anche nei momenti più avversi della sua breve esistenza.
In copertina: I giardini del Lussemburgo a Parigi in una foto scattata da André Zucca nel 1942