Qualche giorno fa ho origliato la conversazione di un francese che parlava del Libano (quando si parla di questi argomenti le mie buone maniere passano in secondo piano, lo so). Questo signore, grassoccio, rossiccio e con gli occhiali neri a punta da intellettuale, parlava al suo interlocutore dei libanesi e, prendendoli bonariamente in giro, spiegava che essi sono uno dei pochi popoli al mondo capaci, nell’arco di una sola frase, di passare dall’arabo all’inglese ed infine al francese.
Questa conversazione mi è tornata in mente oggi, quando mi sono imbattuta in questo articolo sull’editoria libanese, dal titolo In multilingual Beirut, publishing houses overlook English readers, pubblicato da Your Middle East.
A quanto pare, “se è vero che l’arabo è la lingua officiale del Libano, molti libanesi si fregiano di sapere parlare fluentemente sia il francese che l’inglese. E tuttavia, la fiorente industria del libro trascura quegli autori che scrivono in inglese”.
Le numerosissime case editrici libanesi, con base a Beirut per lo più, privilegerebbero infatti la produzione arabofona: “secondo il sindacato dell’unione degli editori libanesi (ovvero, l’associazione degli editori fondata nel 1972, ndt), ci sono 200 editori attivi a Beirut, di cui solo 2, importanti, pubblicano libri esclusivamente in inglese. Il che equivale a dire che solo 12 libri per casa editrice ogni anno vengono pubblicati in inglese, una percentuale molto inferiore se paragonata alla produzione annuale di libri”.
Il (forse non voluto?) risultato è che questa pratica farebbe il gioco degli editori internazionali, che si accaparrano i diritti delle opere di libanesi (che scrivono in inglese) emigrati all’estero, e che quella minoranza di autori locali, che si ostina a scrivere in inglese, per poter sopravvivere non avrebbe che tre opzioni:
- “prendere un aereo per proporre i manoscritti fuori dal paese. Certo dovrebbero farlo a loro spese visto che gli agenti letterari sono una figura “obsoleta” in Libano;
- rivolgersi alla tipografia più vicina e stampare da soli il proprio libro. Teoricamente questa opzione sembra facile ma i costi di stampa spesso non sono competitivi. Inoltre, libri commercializzati in modo così modesto non vanno oltre le filiali locali della Virgin Megastore e delle Librerie Antoine, dove tra l’altro corrono il serio rischio di essere spodestati dall’ultimo bestseller raccomandato dal NYT”;
- pubblicare le proprie opere sui blog personali. Il che, secondo l’autore dell’articolo, è un bel rischio, se si considera che la velocità di connessione del paese è ai minimi storici e anzi, spesso, non c’è proprio connessione! Essere online ha tuttavia l’indiscutibile vantaggio di essere raggiunti da un pubblico potenzialmente molto più ampio di quello locale/regionale.
L’autore poi commenta come tutto ciò sembri assurdo se si tiene presente che “l’industria dei magazine in inglese è in costante e rapida crescita. La rivista culturale Plastik*, di Beirut, è stata vista e fotografata sugli scaffali di città come New York e Milano” (guardate qui).
Scelte editoriali…o più di marketing/product placement, direi.
In conclusione, si legge nell’articolo, per quanto l’industria del libro libanese sia una delle più floride e conosciute, soprattutto se messa a confronto con i suoi vicini di regione, non rende un giusto servizio al bilinguismo (trilinguismo forse sarebbe più corretto?) di cui il paese e i suoi abitanti possono dirsi, a ragione, orgogliosi portatori sani.
Intanto, in una Beirut ancora sconvolta dall’attentato dello scorso venerdì, tutto è pronto per il salone francofono del libro di Beirut che si inaugura tra due giorni. Organizzata dall’Institut français du Liban, la fiera celebra quest’anno i suoi primi 20 anni di attività. Nonostante il Libano conti pochi milioni di abitanti, ospita ancora la terza fiera francofona del libro a livello mondiale, dopo Parigi e Montreal.
Potete leggere le informazioni sui programmi, gli autori presenti e le novità di quest’anno sul sito ufficiale del Salone qui.
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Provocazione molto ironica: forse per par condicio si dovrebbe avere una fiera anglofona del libro?
Provocazione più concreta: o non sarebbe meglio avere una fiera unitaria che rappresenti tutte le anime linguistiche del Libano?
Brevissima disanima non esaustiva su alcuni scrittori libanesi e il loro bi-trilinguismo:
Jabbour Douaihy, ospitato di recente alla Scuola Holden di Torino, ha confessato che all’inizio della sua carriera scriveva in francese, ma ha poi finito per optare per l’arabo. Il francese gli ricordava la lingua dei dominatori coloniali e che per lui usarla era come intrufolarsi in un’altra cultura che non era la sua.
Joumana Haddad, parla e scrive correntemente in inglese-arabo-francese (e italiano!), ma mi risulta che molti libri li abbia scritti direttamente in inglese, gli ultimi due soprattutto (l’ultimo saggio è stato pubblicato da The Westbourne Press, ramo “saggistico” di Saqi Books).
Il vincitore dell’IPAF 2012, Rabee Jaber, è autore di molti romanzi, tutti scritti in arabo.
Scrivono in arabo anche Hanan al-Shaykh ed Elias Khoury.
Tra i più giovani, cito Zena el-Khalil, il cui Beirut, I love you, è stato chiaramente pensato e scritto in inglese.
Tra gli autori che mettono direttamente online le proprie opere, cito la giovanissima Paola Salwan Daher (libanese ma nata a Parigi, quindi esentata dai problemi di connessione libanesi), che ha pubblicato alcuni libri in francese e contemporaneamente posta ogni venerdì i capitoli di Tales of the Phoenix City, un romanzo in puntate arrivato al 21° capitolo. Presenterà il suo ultimo libro, Oublier Alep (ed. Tamyras), alla fiera francofona di Beirut.
(Se qualcuno ha autori da aggiungere a questo mini-elenco si faccia pure avanti).
(immagine ripresa dal sito di Samandal)
Piccola postilla sul fumetto libanese:
il collettivo di Samandal, di cui ho già parlato qui, disegna in arabo, inglese e francese.
Con buona pace dei presunti editori arabic-oriented.