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Sul caso Gino Paoli, o della fine di una lunga storia di apartheid intellettuale?

Creato il 22 febbraio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Gustave_Dore_Inferno34di Rina Brundu. Sembrerebbe che Gino Paoli, il celebrato cantautore de “Il cielo in una stanza” e di infiniti altri successi, sia indagato per evasione fiscale. Lo hanno scritto tutti i giornali dando grande visibilità alla notizia. Una notizia shock per i tanti, una occasione di rinnovato divertimento per le scalmanate bande goliardiche dell’web che apparentemente non hanno rispetto per nessuno.

Francamente, penso che se l’web fosse esistito anche una quarantina di anni fa, nella sua forma attuale, ci saremmo risparmiati tutti tanta disillusione e si sarebbe cresciuti uomini e donne migliori perché, alla fine della fiera, è sempre meglio guardare direttamente in faccia la realtà, deriderla, farsene gioco, piuttosto che coltivare miti e riti che non hanno ragione di essere, che poggiando sulla fragilità della natura umana, e sulla sua intrinseca debolezza, possono sopravvivere sempre uguali a se stessi solo quel tanto che basta. Prima di sfracellarsi al suolo, spesso procurando fastidioso rumore.

Uno dei peccati più nefasti della generazione 68ina italiana (la generazione che era già adulta nel’68), è stato quello del dividere il mondo in spiriti eletti e in poveri cristi dannati, e di farlo in una maniera così sistematica che neppure Nostro Signore aveva mai osato tanto. Nello specifico il termine “eletto” faceva dapprima equazione con “bravo” (non in senso manzoniano, s’intende!), e poi, col passare del tempo, si è andato ammantando di altri tratti pragmatici e ideali che alla fine riuscivano a dar vita a una sorta di character intoccabile. Per essere un “eletto duro e puro” bisognava essere di sinistra (e se non lo si era occorreva diventarlo), possibilmente iscritti al PCI, citare Berlinguer dentro ogni inciso geniale, passare per pacifista convinto, farsi una canna di tanto in tanto, un look zazzeruto aiutava pure così come aiutava una visione scanzonata delle cose del mondo e, dulcis in fundo, diventava conditio-sine-qua-non partecipare alle Feste dell’Unità.

Si scopre adesso che i compensi pagati agli artisti in occasione di tale celeberrima festa di partito, erano sovente pagati “in nero”, con buona pace di tutti i padri costituenti e di ogni intenzione etica celebrata ad ogni angolo di strada. Commentare questo status-quo sarebbe un poco come sparare sulla Croce Rossa, sebbene, ripeto, non si finirà mai di ringraziare il Cielo per quei protocolli CERN che hanno esportato la democrazia in Rete e con quella lo spirito irriverente che ci rende sommamente umani.

Di fatto, leggendo queste e altre notizie simili, il pensiero non può che andare a quei tanti che, abitando il ghetto intellettuale, purtroppo per loro, avranno senz’altro patito il deleterio status-quo, quella sorta di “apartheid” tollerato. Il pensiero non può che andare ai “dannati”, insomma. A quelli a cui la tessera PCI non interessava e avevano il coraggio di dirlo, a quelli che non avevano “amici” e “santi” in Paradiso, a quelli che non riuscivano a sputare sul dio-dinero perché “tenevano famiglia”, a quegli artisti così-così che non avrebbero mai avuto la benché minima possibilità di entrare nell’empireo dei belli e dei giusti per limiti personali e oggettivi.

Diceva Oscar Wilde: “Il paradiso lo preferisco per il clima, l’inferno per la compagnia”, certo però che se avesse dovuto trasferirsi nelle sezioni staccate e furbette italiane, sarebbe stato messo a dura prova anche lui; vai a capire, infatti, cosa è cosa e il rischio di trascorrere un’eternità noiosa all’inferno in compagnia di tante anime pie mentre, sull’altra sponda, i diavoli gozzovigliano nell’aere serena di spiagge assolate, non era un’opzione da scartare con leggerezza. Meditate gente, meditate!

Featured image, il diavolo Lucifero immobilizzato al centro del Cocito, enorme lago ghiacciato situato sul fondo dell’Inferno della Divina Commedia. Illustrazione di Gustave Doré.

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