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Sul comunismo dinastico in Nord Corea

Creato il 07 luglio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
North_Korea_mapdi Michele Marsonet. L’espressione “dinastia comunista” rappresenta di per sé un ossimoro. In teoria non dovrebbe esistere alcunché di simile, pena la contraddizione immediata. Eppure non si tratta affatto di un’espressione vuota e priva di referente, come dimostra un recente saggio di Domenico Vecchioni: “La saga dei 3 Kim. La prima dinastia comunista della storia” (Greco&Greco editori, 2015).

L’autore, già ambasciatore italiano a Cuba e ora saggista e storico, ricostruisce in questo libro la storia della Repubblica Popolare Democratica di Corea dalla sua fondazione (1948) ai giorni nostri. Paese in pratica impenetrabile agli osservatori esterni, la RPDC rappresenta l’ultima esemplificazione del cosiddetto “socialismo reale” in vigore nell’URSS e nelle nazioni a essa collegate durante il periodo staliniano.

Ciò rende la Corea del Nord indubbiamente interessante agli occhi degli analisti, costituendo un “case study” unico nel genere. Nel suo territorio il tempo sembra essersi fermato all’immediato dopoguerra, con i piani quinquennali, la coreografia tipica dei regimi comunisti quando Stalin era in vita e un culto della personalità molto forte e interamente centrato sul leader di turno.

L’unicità, tuttavia, è fornita soprattutto da un altro elemento. Nel Paese il potere è detenuto, per l’appunto sin dalla fondazione, da una sola famiglia e viene trasmesso, di fatto, da padre a figlio senza soluzione alcuna di continuità. La famiglia è ovviamente quella dei Kim che, dopo aver ottenuto il controllo completo del partito e delle forze armate, continua a governare con mano ferrea senza che qualcuno – almeno in apparenza – osi opporsi.

La saga inizia con il fondatore Kim Il-sung che approfittò abilmente della guerra fredda e dell’appoggio staliniano per proclamare la Repubblica socialista nella parte settentrionale della penisola coreana. Giunse poi anche il sostegno della Cina di Mao, il cui massiccio intervento nella guerra del 1950-53 impedì la sconfitta del Nord e la divisione permanente della nazione in due parti, legate l’una al blocco occidentale e l’altra a quello sovietico.

Kim Il-sung, o Kim I come lo chiama l’autore, si sbarazza ben presto di ogni oppositore e promuove nel Paese il culto della propria persona. Poco a poco assume connotati quasi divini anche grazie alla dottrina del “Juche”, la versione coreana del marxismo-leninismo che insiste in particolare sull’indipendenza e autosufficienza nazionali. Si esalta la sovranità delle masse popolari le cui aspirazioni, tuttavia, vengono interpretate da una Guida Suprema che concentra nelle sue mani tutto il potere.

Quando il fondatore si spegne, nel 1994, Guida Suprema diventa suo figlio Kim Jong-il (Kim II), che segue la strada paterna. Si noti però che, secondo la storia ufficiale del Paese, Kim Il-sung è morto solo dal punto di vista fisico. In realtà egli è in qualche modo assurto al cielo da dove continua a guidare la nazione. E, infatti, detiene tuttora il titolo di Presidente. L’autore fa opportunamente notare come il culto della personalità si sia col tempo trasformato in un culto religioso a tutti gli effetti. Nel mausoleo di Pyongyang la salma imbalsamata del fondatore è meno importante del suo spirito, che dall’alto continua a governare e a proteggere la RPDC.

E siamo giunti ai giorni nostri. Alla scomparsa di Kim Jong-il nel 2011 gli succede Kim Jong-un (Kim III), l’attuale leader. Da lui si attendevano riforme che non sono venute, anche perché la rigida struttura del regime non lo permette. Eppure persino la Cina, in pratica l’unico alleato rimasto alla Corea del Nord, spinge in tale direzione, preoccupata dal fatto che Pyongyang si sia nel frattempo dotata di un arsenale nucleare in grado di minacciare quanto meno i Paesi vicini.

Kim Jong-un continua a contare sulla fedeltà del partito e dell’esercito anche perché, nota Vecchioni, “viene visto come il migliore strumento per garantire la continuità di uno dei regimi dittatoriali più longevi della storia, superiore persino alla dittatura dei fratelli Castro iniziata nel gennaio 1959”.

Permane, alla fine della narrazione, un senso di mistero. Com’è possibile che una sola famiglia riesca a imporsi per un periodo così lungo, trasmettendo il potere assoluto per vie dinastiche senza causare una ribellione di massa, che sarebbe del resto giustificata dalle condizioni in cui vive la popolazione?

70 anni possono sembrare pochi, ma sono moltissimi se si rammenta che il regime è rimasto tale e quale mentre nel resto del mondo si sono avuti mutamenti epocali. I media nordcoreani sostengono che il “Presidente Eterno”, Kim Il-sung, dall’al di là protegge la Corea del Nord con la sua immensa bontà e infinita saggezza. Ma la storia non si è mai fermata. Basta quindi attendere che, anche là, si rimetta in moto.


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