Negli occhi il colore del duro lavoroSul viso arrugginito le rughe del tempo amaro Curva la schiena inchiodata al sole di un campo Il bracciante mangia la terra e beve il sudore Non ode la notte, vive la luce del suo lavoroL'operaio vive la fabbrica come la sua dimoraInfila le ore e asciuga gli istanti L'impiegato sembra conduca vita miglioreRiempie il marmo di legno di coltre stordita L’imprenditore costruisce la base Regala tozzi di pane ubriachi di vino Ogni momento scandisce il lavoroMuore e rinasce in nuovi sentieri Asciuga le lacrime e consuma i sorrisi Il tempo della vita è un soffio di ventoAleggia leggero nelle stelle lucentiMilioni di voci in un bisbiglio strillante La fame, la sete, la guerraE la sopraffazione Una vita precaria In una brace feroce Aliena le mente Cancella i ricordi Fabbrica orroreIl lavoro non è solo un bisogno Non è solo un dovere e neanche solo un dirittoNé mezzo e né fine Per l’uomo E’ un sole che brilla al mattino E che splende anche al buio profondo Se dentro c’è LUCE!
Queste due canzoni sono dedicate ai cassaintegrati, ai giovani che non trovano un lavoro, alle 192 persone morte sul lavoro quest’anno, ai lavoratori precari, agli sfruttati, agli immigrati costretti a lavorare in nero e trattati come schiavi. Agli operai della Fiat che si sono ribellati a Marchionne, a tutti quelli che si svegliano la mattina per sfamare la propria famiglia, agli uomini e le donne con le mani rovinate dal duro lavoro, ai lavoratori licenziati in prossimità della pensione che oramai sono considerati dalla società merce avariata, ai ricercatori che guadagnano meno di un concorrente del Grande Fratello, a tutta la gente di valore di questo Paese costretta ad emigrare o piegarsi al sistema clientelare che uccide i sogni, che declassa il nostro Paese.