Il lettore modello – cioè l’individuo immaginario a cui un autore si rivolge mentre scrive il suo testo e sul quale calibra la propria strategia narrativa – non esiste solo nel rapporto che corre tra autore e testo. Questa creatura fantastica che uno scrittore immagina perennemente appollaiata sulla sua spalla, come una specie di civetta dotata di acume e finissimo senso critico, che interviene in ogni riga, che dice la sua anche quando non è interpellata, che sussurra, stronca, demolisce senza pietà, vive e incombe anche sulle spalle di un altro genere di individuo: il lettore.
Non solo quando si scrive, infatti, si pensa a un lettore modello, ma anche quando si legge; si pensa, per esempio, all’idea che si farebbe una determinata persona – che sia un amico, un parente, o anche qualcuno che non conosciamo in forma diretta ma che magari stimiamo, e di cui crediamo di aver capito almeno i gusti letterari – del libro che si sta leggendo in quel momento. Ieri pomeriggio, per esempio, ero alle prese con Herzog di Saul Bellow. A pagina 14 mi sono imbattuto in una frase che dice:
“Madeleine rifiutava recisamente di essere sua moglie, e i desideri della gente vanno rispettati. La schiavitù è morta”.
Conosco una persona che apprezzerebbe molto questo genere di ironia. Però non so se questa persona abbia mai letto Herzog. Forse sì; ma io che ne posso sapere? In fondo sto parlando di qualcuno che non conosco abbastanza da ricordare per filo e per segno quanti e quali romanzi abbia letto in tutta la sua vita, ammesso poi che si possa mai conoscere qualcuno tanto a fondo da ricavare un dato del genere – a meno che, logico, costui non abbia letto in tutta la sua vita un numero infinitamente piccolo di libri; diciamo qualcosa come meno di dieci.
A ogni modo, da quel momento in poi ho seguitato la lettura di Herzog chiedendo a me stesso, per ogni frase, cosa avrebbe avuto da dire in proposito quella tale persona. A un certo punto, per farla breve, questo mio conoscente è diventato in tutto e per tutto il corrispettivo del lettore modello, una civetta appollaiata sulla mia spalla che muoveva gli occhi sulle stesse frasi su cui mi stavo concentrando io. Tutta la lettura è diventata così una pazzesca passeggiata a due. Mentre leggevo Herzog, si è piazzato accanto a me questo essere immateriale, questa olografia che giudicava e chiosava insieme a me il testo di Bellow.
Al di là di una mia probabile schizofrenia, una cosa ho capito: anche quando siamo impegnati in un’attività come la lettura, che è solitaria per definizione, facciamo in modo di non restare mai soli.